Pierangelo Maurizio
«Un lavoro di merda» ha definito quello dei nostri soldati la senatrice comunista Lidia Menapace, componente e presidente mancata della commissione Difesa. Più o meno nelle stesse ore i familiari di Nicola Ciardelli, il capitano della Folgore morto nellattentato dei «resistenti» iracheni il 27 aprile a Nassirya, hanno dovuto aggiornare il loro progetto: costruire un ospedale per bambini. Forse non nascerà a Nassirya, come avrebbero voluto: le autorità hanno fatto sapere che la gran fretta che in Italia si sta imprimendo per il ritiro del nostro contingente rende improbabile la costruzione. Sorgerà in Kossovo o in Afghanistan.
La vita e la morte di Nicola sono la smentita più eloquente di un luogo comune: in un inferno come quello iracheno non si va per pagare il mutuo della casa, o non solo. Ci vogliono motivazioni più profonde.
Nicola Ciardelli aveva 36 anni ed era un ragazzo doro. La sua è una famiglia più che benestante di Pisa. La sorella Federica, avvocato, ha spiegato così la serena compostezza con cui lei e i suoi familiari hanno affrontato il lutto: «È Nicola che ci dà la forza. Sappiamo che è morto per quello in cui credeva». Ma in che cosa credeva Nicola? La moglie Giovanna, anche lei avvocato, nello zaino tornato dallIrak ha trovato un piccolo Vangelo bianco: «Era quello che a casa teneva sul comodino, in camera da letto. Quando è ripartito per lIrak, il Vangelo era sparito ma non ci avevo fatto caso».
Sapevano, in famiglia, che Nicola era credente e praticante. Ma niente di speciale: andava in chiesa la domenica; e poteva capitare che qualche volta saltasse la messa domenicale. Poi padre Mariano - il cappellano militare in Irak - ha raccontato che nellinferno di Nassirya il capitano della Folgore andava tutte le sere, alle 7, alla messa nel campo base italiano.
Era bello Nicola, e aveva un fisico da paura: ci teneva ai suoi esercizi e ad essere in forma. Perché anche il corpo è un dono di Dio. Ma non era un Rambo. Lui che era alla sua sesta missione all'estero, quando era tornato a casa, a Natale, parlava solo dei bambini iracheni: delle loro sofferenze, dei tanti senza famiglia.
Nei 17 giorni che ha vissuto come padre non aveva lasciato un attimo suo figlio (il piccolo Niccolò che dopo lattentato la mamma ha voluto battezzare accanto alla bara del padre). Poi, ha lasciato quanto aveva di più caro ed è ripartito per lIrak. I suoi hanno capito perché, dopo.
Nicola aveva un ruolo molto delicato: ufficiale di collegamento con la polizia irachena. Ma il suo impegno principale era occuparsi dei bambini malati di Nassirya. Si era fatto in quattro per salvare un bimbo colpito dalla leucemia. Non era riuscito però a farlo trasportare in Italia perché era troppo grave.
Forse anche la senatrice Lidia Menapace potrà versare una parte della sua indennità da parlamentare. Nicola e quelli come lui la loro quota lhanno già pagata.
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