Oggi che ci troviamo in piena crisi economico-finanziaria si parla molto di «bolla speculativa», ma pochi sanno che la prima nella storia ha a che fare con i tulipani. Nel '600 una passione sfrenata per questi sfiori si sviluppò in Europa e per comprarli si arrivava ad indebitarsi. La chiamavano «Tulipomania». A qualche audace commerciante di bulbi, che non aveva più prodotto da offrire agli acquirenti, nel 1630 venne l'idea di vendere quelli che ancora non esistevano. Erano i primi «futures» e crearono una grande bolla speculativa che esplose trascinando con sé i patrimoni di molte famiglie.
Questa storia curiosa la racconta Alessandro Costa, studioso del diritto e delle istituzioni internazionali, nel suo libro «Il governo e le regole dell'economia globale nell'era dei meta-problemi» (Aracne editrice), che sarà presentato a Roma martedì 12 maggio, alle 17, da Paolo Mieli, Benedetto dalla Vedova, Maria Clelia Ciciriello, David Lane e Domenico Santececca, nella sala conferenze dell'Associazione della Stampa Estera (via dell'Umiltà 83/C).
Nell'Inghilterra del '700, si legge nell'introduzione, la bolla speculativa esplosa sulle azioni della South Sea Company causò tali e tanti danni e contraccolpi a livello economico e politico da indurre il governo ad adottare il Bubble Act, che proibiva la costituzione di società per azioni senza l'espressa autorizzazione del Parlamento.
Costa è docente all'Università Parthenope di Napoli, con una vasta esperienza nella promozione dell'impresa nei Paesi in via di Sviluppo, anche come consulente delle principali istituzioni internazionali della cooperazione. Al centro della sua ultima opera ci sono i «meta-problemi», nati soprattutto dalla globalizzazione economica: le grandi crisi ambientali, umanitarie, sanitarie, migratorie e finanziarie. Altrettante sfide, questa è la tesi dell'autore, cui gli Stati potrebbero rispondere solo coralmente, e cioè come Comunità globale. Perchè nessuno, anche se grande e potente, può affrontarle da solo. I «meta-problemi»,infatti, vanno oltre le competenze tracciate dalle frontiere nazionali.
Partendo dall'attuale crisi finanziaria esplosa nella metà del 2008, Costa fa un cammino a ritroso nel tempo, passando per la grande depressione del 1929, per dimostrare che questo tipo di emergenze non sono una novità ma che oggi bisogna affrontarle in maniera completamente diversa. Lo studio nasce come ricerca sul diritto internazionale dell'economia e le sue istituzioni e sostiene che l'impatto dei «meta-problemi» sulla scena politica ed economica mondiale ha mutato profondamente l'ordinamento della Comunità degli Stati, con trasformazioni anche radicali degli elementi del sistema della governance mondiale.
«Gli Stati -scrive l'autore- sono molto meno sovrani, nel senso che sono molto meno capaci di provvedere alle necessità delle comunità umane sottostanti, sono certamente sempre più diseguali almeno nell'economia, e in ogni caso il bisogno fondamentale che essi avvertono è quello di una collaborazione costante ed attiva, che l'antica comunità ottocentesca degli Stati non avrebbe potuto neppure immaginare. Trattati e consuetudini, tradizionali strumenti normativi della comunità westfaliana degli Stati, mostrano evidenti ed irreversibili segni di obsolescenza. La risposta ai meta-problemi deve essere rapida e flessibile, dovendo mutare con il cambiamento vorticoso delle congiunture economiche e politiche: né trattati né consuetudini permettono cambiamenti rapidi ed efficaci».
Secondo Costa la risposta potrebbe venire dai grandi organismi internazionali nati nel Dopoguerra, ma queste istituzioni sono state create da una Comunità di Stati sovrani nazionali, poco disponibili a trasferire ad esse ampi poteri nella regolamentazione e gestione dei fenomeni economici e sociali. E allora? Sulla scena, sottolinea il giurista, sono emerse nuove forze: le imprese multinazionali e le ONG. Si tratta di motori essenziali dell'economia mondiale, ma l'ordinamento e le istituzioni della Comunità degli Stati, ancorati ad un principio astratto di sovranitò, non sono preparati a fare i conti con queste nuove realtà.
«Lo Stato Re -scrive Costa- è sempre più nudo, anche se non sa di esserlo, o non vuole ammetterlo. Non voglio dire che non si manifestino qua e là, ed anzi sempre di più a causa della attuale crisi economica, voci a favore di una rinnovata collaborazione nell'ambito della Comunità degli Stati. Molti sono coloro che comprendono che solo da quest'ultima potranno venire risposte adeguate ai grandi meta-problemi.Ciononostante i risultati concreti di molte buone volontà restano limitati ed insufficienti».
Quella di Costa è, dunque, una denuncia dell'incapacità dei governi a trasferire i loro poteri ad organismi ed istituzioni internazionali che potrebbero offrire le risposte necessarie ai «meta-problemi». Questo, con la scusa che non sarebbero in grado di assumerli, almeno come sono organizzati oggi.
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