Per capire va detto. Va detto che in inglese esiste solo un termine per dirlo: womenizer. Ma si sa che dalle parti di Albione sessualmente vanno un po’ sul frigido. Va detto che in Italia, dove accarezziamo i miti riccionesi sull’Ur-bagnino e le favole sul tirabaci e tiriamo ancora per le lunghe con la storia del latin lover, i sinonimi di rimorchione sono svariati: mollicone, gallo, provolone, bordone, inciucione, marpione. Adesso pare anche impiccione, nello slang adolescenziale, quello che ci prova sempre e sul lettino a casa di mamma ha incorniciato, accanto a un poster di James Dean e a un pacchetto di preservativi esperienziali, il detto «belle o brutte ci piaccion tutte». E va detto che la Francia è la patria del bacio sul Pont Neuf e del Tempo delle mele, dell’amor cortese, sensuale e cerebrale, che schifa il becero gallismo di marca italica.
Va detto però che in francese il termine «rimorchione» è identico all’italiano: dragueur, che tra l’altro significa anche dragamine ma nel nostro caso è quello che rimorchia, traina, spinge, abborda, affianca, trascina, fa push&pull, l’invadente ma ben accetto disturbatore della privacy femminile. Un rimorchione che riesce a draguer gode tra i maschi, specie quelli accasati o che non battono chiodo, di una grande considerazione dettata da pura invidia. Ma se il rimorchione non fosse poi così figo? Se anzi avessimo a che fare con un poveraccio, un «miserabile completo che si sforza di simulare la grazia» ma, senza scomodare Baudelaire e Simmel e attingendo piuttosto a Califano e al Merolone (per i più sfigati c’è sempre Teorema di Marco Ferradini), consuma le suole delle scarpe girovagando per la città come un vampiro del sesso?
Se chiacchierate con Alain Soral, o meglio leggete il suo ragguardevole breviario dedicato alla Sociologia del rimorchione (Castelvecchi, pagg. 259, euro 15), ve lo spiegherà. E vi illustrerà le differenze fondamentali nella psiche e nella prassi maschile, quelle che tracciano solchi profondi tra il rimorchione e i suoi coinquilini nell’immaginario femminile, tipo il seduttore riccastro, l’idiota del sabato sera, l’innamorato seriale o l’amico delle donne: ricostruite il ruolo di vostro padre e soprattutto di vostra madre nel vostro sviluppo da bambini e saprete quale casella occupare. Siccome, a sentire Soral, abbiamo a che fare con uno che «fino ad oggi io mi sono fatto più di settecento donne fra più e meno giovani», proviamo a prestare attenzione a questo bizzarro personaggio, maestro di boxe francese e «agitatore dal 1976», come si legge sul suo sito.
Ex movimentista e aderente al Pcf, ragazzo prodigio della gauche e autore di libri di gran successo, «il maledetto ufficiale della letteratura francese», come lo definiscono sul Nouvel Observateur Claude Askolovitch e Léna Mauger, s’è maledettamente e ufficialmente complicato la vita aderendo all’estrema destra del Front national. L’ha fatto non nelle retrovie ma col pugnale tra i denti, prima come intellettuale ufficioso del Fn portabandiera del «lepeno-marxismo» e poi come testimonial di Le Pen nell’ultima campagna elettorale, definita «una finale di Star Academy» dominata dall’«assalto mediatico» dell’«agente americano» Sarkozy e dell’hostess Royal. Un suo cybermanifesto autoprodotto della «Soralstroika» lo ritrae con l’etichetta del Fn accanto a Marx, Lenin e Stalin. Lui si definisce un «nazional-repubblicano» o un «alternazionalista» che sfotticchia gli altermondisti e ha in uggia tutti i com’unitarismi: gli islamici, i gay, i «giudeo-sionisti» che vivono protetti da «uno statuto privilegiato».
Da buon situazionista, Soral ne ha ideata una più del diavolo per far infuriare l’intellighenzia francese, che ha impiegato poco a perdere la pazienza, facendo calare sul vulcanico dragueur-boxeur il mantello del silenzio (il candidato della Lega comunista rivoluzionaria, Olivier Besancenot, ha rifiutato un dibattito con lui) o il martello dell’emarginazione. Prima coccolato, adesso paria, un tour di aggressioni fino a che a dicembre l’han cacciato dall’Istituto di studi politici di Parigi dove avrebbe dovuto partecipare a un dibattito con Robert Redeker, l’editorialista del Figaro finito nel mirino degli estremisti islamici. Ma gli intellettuali emarginati non godono tutti della stessa solidarietà: a Soral è arrivata solo quella del comitato direttivo dell’italiano Partito dell’amore, guidato dal segretario nazionale Mauro Biuzzi. Le varie leghe antirazziste tipo Licra e Act-Up hanno fatto pressione sulla sua casa editrice per impedire l’uscita di altri volumi.
Per tutta risposta Soral s’è fatto amico il comico Dieudonné, ritenuto campione dell’antisemitismo beur, con cui forma una coppia politicamente esplosiva. Sghignazzando, e tanto per dire, l’avremmo voluto vedere in una recentissima puntata di Otto e mezzo dedicata all’emarginazione delle donne, magari a presentare il suo ultimo lavoro Vers la féminisation?, intemerata contro il femminismo «alleato oggettivo del capitalismo», che contiene una spiegazione della «catastrofe Ségolène» come subprodotto della «femminilizzazione socialdemocratica» e delle riviste femminili che forgiano perfette «donne-oggetto». Le femministe, da lui divise in «scoppiate mal scopate» e «graziose artiste» e accorpate in quanto incapaci di produrre pensiero (attività maschile per eccellenza), pare lo odino a dismisura.
Torniamo al rimorchione, chiodo fisso di Soral, che già nel 2001 aveva prodotto un film sul tema, Confessions d’un dragueur appunto. Ma il film è stato boicottato e Soral non ha trovato nessuno disposto a distribuirlo in videocassetta o dvd (lo trovate su Internet, a www.dailymotion.com). Così Soral al tema-ossessione del rimorchione, il cui passato è indelebilmente macchiato dall’assenza della madre simbolo di purezza e del padre simbolo di autorità, ha deciso di dedicare un trattato. Il libro può essere letto a scelta come un manuale di psicanalisi, uno studio di etnografia dell’individualismo metropolitano, un bignamino per far sopravvivere un matrimonio borghese o un breviario di tecniche di adescamento delle donne, che il rimorchione impara a riconoscere nella loro diversità «con la sofferenza e la pratica»: madri, troie, schiave, borghesi, trentenni, pazze (mistiche e stronze), fuori di testa, lavoratrici e femministe.
Per ciascuna di queste categorie, denudate di ogni afflato romantico, il nostro dragueur ha una strategia, fatta di sotterfugi, bassezze, simpatiche canagliate e perfide annessioni. In ciascuna donna trova un piccolo sollievo per la sua disperazione e una goccia di vendetta per essere stato «un bambino senza amore». Alla fine, dopo tanto penare fra talami e lenzuola, scoprirà che la seduzione femminile non esiste. Tecniche amorose e tipologie dell’adescamento a parte, Sociologia del rimorchione è la definizione di questo strano abitante della contemporaneità. Il rimorchione non è un intellettuale: «Quando arriva la donna, il sesso si erige e il libro di solito cade dalle mani». Non è neppure un poeta, che immagina la donna ideale e non conosce quella reale.
Più banalmente, Soral ritiene il rimorchione e il suo cumulo di ossessioni un prodotto consumistico.
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