Il sosia di George Clooney per dare una meta all’Italia

Il sudafricano Mallett, nuovo ct azzurro, chiamato a riscattare la delusione mondiale e ripetere il torneo 2007

da Dublino

Il suo realismo arriva fino alle estreme conseguenze. Anche quando gli fai notare la vaga somiglianza con una stella di Hollywood... «Con chi? Con George Clooney? Se è così, mi dispiace per lui». Dovremo fare l’abitudine con l’understatement di Nick Mallett, il nuovo commissario tecnico dell’Italia del rugby che si affaccia al nono Sei Nazioni della sua storia. È nato in Inghilterra, suo padre era andato a dirigere una scuola, ma di inglese lui ha solo il passaporto. Quando aveva un anno, i suoi decisero di trasferirsi in Rhodesia, per poi arrivare in Sud Africa dove Nick ha mangiato pane e rugby fino a vestire in due occasioni la maglia degli Springboks. Ha giocato anche in Italia, a Rovigo, per una stagione. Di quei giorni ricorda la passione per l’ovale di un’intera città che sapeva portarti in trionfo quando vincevi, ma era meglio barricarsi in casa se la domenica avevi perso.
È uno che ci sa fare Mallett. Laurea ad Oxford, due lingue parlate in scioltezza alle quali spera di aggiungere anche l’italiano. L’impresa non è facile. Per ora alle giocate che spiega ai suoi deve mettere i sottotitoli. Ed è la preoccupazione maggiore. Un allenatore ai suoi uomini parla con il cuore, non c’è spazio per l’interprete.
Il mondiale deludente concluso con la sconfitta di Saint Etienne oggi è dietro le spalle. Un trascinatore come Alessandro Troncon ora fa parte dello staff di Mallett. Il neo ct si presenta con grandi credenziali: vanta la miglior striscia vincente della storia degli Springboks (17 vittorie) e due titoli francesi alla guida dello Stade Francais. È uno che decide e che ha il coraggio delle scelte pagando anche di persona. Non ci ha messo molto a fare due più due e consegnare ad Andrea Masi la maglia del numero 10. È quella di Dominguez, che Mallett ha avuto ai tempi di Parigi e il Diego della palla ovale oggi non ha dubbi nel definirlo il più latino dei sudafricani. Mallett non ha avuto paura neanche a lanciare dal primo minuto Ghiraldini in prima linea o Pietro Travagli al posto di Troncon. Sceglie il compromesso quando si tratta di affidare a Parisse i gradi di capitano. Lo fa per il bene del gruppo. Ma è realista quando si tratta di capire il peso del debutto azzurro di oggi al Croke Park contro l’Irlanda. Se John Kirwan andava ripetendo che l’Italia avrebbe vinto il Sei Nazioni nel giro di cinque anni, Mallett sorride ma percorre un’altra strada. Che è quella della crescita, della politica dei piccoli passi che il rugby italiano ha sempre seguito. Si può crescere anche nelle sconfitte. Ma si tratta solo di un’eventualità perché il sudafricano ha deciso che è meglio ricominciare dalle basi, dai fondamentali.
Fare le cose semplici, a cominciare dalla difesa. Alzare un muro contro squadre che giocano a memoria. Sono lontani i giorni sudafricani: le risse con Gary Teichmann, l’esclusione del capitano dai mondiali del 1999 hanno giocato un ruolo nel suo allontanamento dagli Springboks. Oggi Mallett ammette quell’errore. Le sue idee non sono più così assolute come quando si mise in testa nello Stade Francais che Mirco Bergamasco poteva giocare solo all’ala.

Ha avuto poco tempo per capire, ma abbastanza per prendere il toro per le corna e dettare la sua legge. L’avventura insomma è cominciata: il traguardo è in Nuova Zelanda, nel 2011, per il prossimo mondiale. Nel cuore la speranza di riuscire finalmente a centrare quello che è sfuggito all’incompiuto Berbizier.

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