Il sottile confine tra fede e menzogna

Di estrazione mormone, Evenson ha negli anni rigettato certe storture della rigida educazione religiosa impartitagli dalla Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni, senza però mai staccarsi del tutto da alcuni suoi cardini, come il rapporto tra libera scelta e responsabilità, a lui molto caro

Il sottile confine tra fede e menzogna
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Di tante cose è stato tacciato Brian Evenson, romanziere e professore universitario americano, ma nessuno può avergli imputato omologazione, noia e mancanza di originalità.

Di estrazione mormone, Evenson ha negli anni rigettato certe storture della rigida educazione religiosa impartitagli dalla Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni, senza però mai staccarsi del tutto da alcuni suoi cardini, come il rapporto tra libera scelta e responsabilità, a lui molto caro. L'ostinazione con cui scrive di tali distorsioni e dell'impatto che la cecità religiosa e i dilemmi morali irrisolti delle sue vittime hanno sulla società americana, gli è valsa critiche feroci presso la Brigham Young University e, addirittura, un ostracismo definito dal sindacato dei professori americani contrario alla libertà di insegnamento.

Il padre della menzogna (Nottetempo, traduzione di Orso Tosco, pagg. 220, euro 16,90), il suo nuovo romanzo, entra a gamba tesa nella relazione tra società civile e religioni organizzate, e si apre con il carteggio formale tra il direttore di un istituto religioso di cristanalisi (psichiatria in stile mormone), un terapeuta di tale istituto e un membro anziano della comunità.

Oggetto della corrispondenza è il comportamento di un prevosto che si è sottoposto a trattamenti psichiatrici su insistenza della moglie e che ammette di fare sogni realistici in cui usa violenza a giovani della sua comunità, violenza che, però, è certo sia confinata alla sfera onirica: «Sensazioni inquietanti» al punto che gli sembra «di averle fatte per davvero».

Con un assurdo e geniale ribaltamento dei ruoli, Evenson trasforma lo stimato prevosto Fochs della «Corporazione del Sangue dell'Agnello» in uno strizzacervelli che indaga sulla psiche delle sue pecorelle smarrite, in un demoniaco sdoppiamento di personalità e una preoccupante dissociazione dalla realtà: Fochs è posseduto e nel sonno parla a ruota libera, rivelando le proprie nefandezze.

Utilizzando una voce narrativa volutamente neutra, pur esprimendosi in larga parte in prima persona, Evenson scoperchia l'annoso pentolone dell'influenza nefasta dell'evangelismo per quanto il mormonismo sia un mondo a sé stante sulla società a Stelle e strisce, complice il diffuso perbenismo e la pervasiva ipocrisia della cultura statunitense, accusando la variegata galassia delle religioni organizzate di far ricorso a qualsiasi mezzo, lecito e illecito, per nascondere brutture e, addirittura, turpitudini, pur di salvaguardare la propria reputazione. Manipolazione e intimidazione si specchiano con fede cieca e sensi di colpa.

La lucida ricostruzione della mente malata del carnefice e di quella infervorata e offuscata delle sue vittime e, soprattutto, dei suoi

fedeli conferma l'inclinazione iconoclasta di Brian Evenson e il suo non comune talento letterario.

Un'avvertenza per il lettore: la sua prosa può risultare fastidiosa per l'uso frequente, ma mai gratuito, di immagini forti.

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