Speciale: altre pressioni dal viceministro

L'ex comandante ha elencato nuovi episodi, anche recenti, di ingerenza da parte dell'esponente diessino. E i generali ascoltati dal pm confermano le accuse

Roma - Sulle minacce e i trasferimenti degli ufficiali di Milano la posizione di Vincenzo Visco si è aggravata venerdì 15 giugno. In procura l’ex comandante generale della Guardia di Finanza Roberto Speciale dopo due ore di raffiche di domande del Pm, ha sparigliato i giochi. E ha calato gli assi. Ha infatti elencato ulteriori episodi, anche recenti, di presunte pressioni e invasioni di campo subite. Indicando testimoni e altre missive inviate e ricevute. Allargando quindi il perimetro di quanto denunciato nel luglio del 2006 in Procura generale a Milano.

Tutto era infatti partito dalla telefonata tra Visco e Speciale. Con quest’ultimo che tentennava sull’azzeramento in Lombardia, non voleva trasferire gli ufficiali che indagavano sulle scalate Bnl/Antonveneta/Rcs. Dall’altro capo della cornetta, Visco urlava. E Il 17 luglio 2006 Speciale mise tutto a verbale: «Visco mi disse di non aver rispettato alcuna regola deontologica non avendo dato esecuzione istantanea a quanto mi era stato da lui ordinato, di riunirmi subito con i generali Pappa e Favaro per dare a quegli ordini esecuzione immediata e di concordare con loro una risposta da dare alla Procura di Milano. Il vice ministro Visco ha aggiunto che se non avessi ottemperato a queste direttive, erano chiare le conseguenze cui sarei andato incontro. Io risposi che l’osservazione delle regole è stato il faro di tutta la mia vita... E che piuttosto che assecondare le richieste ero pronto a rassegnare il mandato».

Ora si è spinto assai più in là. Fornendo altri episodi di ingerenze, pressioni, intromissioni nella gestione gerarchica del corpo della Gdf. Ha ampliato. Mettendo la procura di Roma di fronte all’unica scelta percorribile: indagare il vice ministro. Per tentato abuso d’ufficio e minacce. Poi sono arrivati altri ufficiali. E il mosaico ha preso ancora forma. Perchè il Pm Antonangelo Recanelli si è trovato di fronte a un quadro confermato da diversi altri generali della Gdf.

E per assurdo chi tra questi, come gli ex comandanti in Seconda Italo Pappa e Sergio Favaro, esprimevano pesanti critiche sulla «gestione Speciale» troppo piegata sul numero uno, accreditavano al tempo stesso le loro parole sugli interventi del viceministro. A iniziare proprio da quando Visco convocò i due nel suo ufficio: «Certamente io non dovevo essere consultato - sbottò Favaro - se non eventualmente come membro del Consiglio Superiore». Un’altra crepa si è aperta quando è arrivato in Procura il generale Flavio Zanini, braccio destro del vice ministro. I magistrati pensavano di trovarsi di fronte al teste che poteva offrire una chiave di lettura diversa. Era proprio Speciale a ritagliarli un ruolo centrale.

Soprattutto in quelle prime pressioni ricevute il 14 luglio. Basta rileggere sempre il primo verbale dell’allora comandante generale: «Ore 17.42, il vice gabinetto di Visco, gen. Flavio Zanini mi ha riferito di aver appreso dal capo segreteria particolare di Visco, Giovanni Sernicola che il vice ministro si aspettava la diramazione degli ordini di trasferimento». Speciale era a Bari per impegni di rappresentanza e cercò di guadagnare tempo. Disse che per l’indomani avrebbe tenuto una riunione con lo stato maggiore della Gdf sui trasferimenti. Ma dopo 15 minuti Zanini torna alla carica e richiama: «Zanini mi ha comunicato che Visco considerava i trasferimenti esecutivi e che quindi doveva partire il messaggio». Fino alle 19.21 quando «Zanini mi disse che Visco voleva parlarmi. E alle 19.22 Visco mi disse che i trasferimenti dovevano essere eseguiti immediatamente».

Eppure sentito come teste Zanini non offre risposte precise. Tanto che Racanelli inizia a spazientirsi. Ma come non ricorda? Ci pensi bene... E il generale tace, pensa, ripete che lui non ha ricordi poi così nitidi. Insomma, chiedete a Sernicola. Tanto che il capo della segreteria, l’uomo ombra di Visco, viene convocato immediatamente in procura. In una stanza Zanini, nell’altra Sernicola. Ma anche qui rimangono zone d’ombra.

Nel frattempo si apre il capitolo Visco. Sentirlo come teste o interrogarlo? Guido Calvi, difensore storico del vice ministro è penalista accorto ed ascoltato. Senatore diessino, assiste i vertici del partito nelle cause più delicate e complesse. In questa situazione punta a ottenere tre risultati. Ne porta a casa due. Il primo era quello di non andare proprio dai magistrati ma voleva presentare una memoria difensiva. Si sarebbero evitato il contraddittorio con l’accusa e le telecamere. «Non ci hanno ancora convocato - diceva in questi giorni ai cronisti - beh se ci chiamano decideremo se andare o meno». Una linea che non trova unanimità tra i consiglieri di Visco. A questo punto meglio presentarsi spontaneamente.

Così l’effetto della notizia che sul vice ministro si sono raccolti elementi tali da ritenere indispensabile, anche a sua tutela, un’iscrizione nel registro degli indagati, sarebbe controbilanciata con la notizia che, insomma, è Visco che va dai magistrati di sua spontanea volontà.

Come dire, per fare chiarezza una volta per tutte. Con un’ulteriore sfumatura da non trascurare. La presentazione spontanea può portare il pubblico ministero a non rivolgere domande all’indagato. Che vuol fare appunto solo «dichiarazioni spontanee». L’ultimo obiettivo è quello di non far filtrare la notizia. Evitare il muro di telecamere, la ricaduta mediatica. E infatti la notizia dell’iscrizione di Visco nel registro degli indagati scavalca i tg della sera e finisce in rete pochi minuti prima delle 21. Per Calvi è sicuramente un risultato. Per il procuratore Ferrara un’attenzione comprensibile rivolta a un’autorità di governo. Un clima certo impensabile solo nel 1994 quando gli avvisi di garanzia al presidente del Consiglio finivano d’apertura sui giornali in concomitanza con la notifica.
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