Da piccolo finì 11 volte all’ospedale e fu bocciato in quinta elementare. Non stiamo parlando di uno scapestrato che ha buttato via la sua vita ma di Alberto Angela, il divulgatore scientifico più famoso della tivù, dopo suo padre Piero.
“Attenzione. Era una scuola molto rigida, non è che sono stato bocciato perché non studiavo. Era stato molto complicato, avevo fatto un esame e sono stato bocciato per un punto”, racconta lui in un’intervista al Corriere della Sera in cui parla anche del suo ultimo libro su Cleopatra, “una donna moderna, messa in una società antica” che oggi “sarebbe potuta essere una manager di successo, leader delle finanze o dell’industria”. Di suo padre dice:“Da quando abbiamo cominciato a lavorare insieme, tra noi c’è un rapporto tra colleghi, troverei fuori posto chiamarlo papà”. E aggiunge: “Quando si lavora in un settore come quello del giornalismo scientifico e della divulgazione, scopri che la scienza unisce le generazioni: un anziano, un giovane, uno di età media parlano la stessa lingua”. Angelo racconta poi il suo rapporto con la Rai e ribadisce la sua forte convinzione che la divulgazione debba esser “fatta nella rete pubblica nazionale” anche se né lui né suo padre sono dipendenti. “Abbiamo contratti a termine che vengono rinnovati a seconda dei risultati, ogni 2-3-4 anni. Per un anno e mezzo sono anche rimasto fuori”, spiega. L’orgoglio per il suo lavoro, di certo, non gli manca: “Quando mi è stato chiesto di trasferire Ulisse da Rai3 a Rai1 mi è sembrata una missione coraggiosa: non c’è tv pubblica ammiraglia in Europa che il sabato sera metta un programma culturale”. Come il padre, anche Alberto rimane fedele al suo carattere scrivo e lontano dai social: “Sono molto diverso dai miei colleghi, sono un ricercatore prestato alla televisione.
Per dieci anni – dice - ero nei luoghi dove si fanno documentari, dentro le tende in mezzo al Serengeti, con i leoni. Non faccio tivù per apparire sui rotocalchi, ma per condividere il piacere pazzesco di scoprire cose che non sapevi prima”.