A cinquant'anni dalla sua morte immatura avvenuta a Roma il 10 febbraio 1968 (era nato a Lucca nel 1910) Mario Pannunzio attende ancora il suo storico, malgrado sia stato negli anni oggetto di studi e ricordi più o meno importanti. Alcuni di quelli che si sono occupati di Pannunzio erano mossi più dall'intento di celebrare sé stessi come suoi eredi e continuatori che da quello di riflettere con il necessario distacco sul direttore di Risorgimento liberale (spesso trascurato) e del Mondo, la rivista culturale italiana più importante del secondo dopoguerra. Pannunzio ha lasciato poco di scritto e quasi sempre ha ispirato altri, limitandosi a fare il giornale. Sul Mondo non ci sono articoli a sua firma e il piccolo saggio su Tocqueville, risalente al 42, è una testimonianza di poco conto. Molti sono invece i suoi articoli prima della guerra pubblicati sull'Omnibus di Longanesi e su Oggi che fondò e diresse insieme ad Arrigo Benedetti.
Se escludiamo gli studi di Carla Sodini, nessuno si è occupato delle radici lucchesi, umane ed intellettuali, limitandosi ad analizzare il periodo romano, certamente il più importante, dagli anni universitari alla morte. Nel 2010 il centenario della sua nascita fu l'occasione per tante iniziative promosse in tutta Italia prevalentemente dal Centro Pannunzio di Torino, che registrarono un vasto interesse. Fu possibile dare una lettura della sua opera, evidenziando il significato liberale del suo impegno. Il cinquantenario è l'occasione per tentare di stabilire alcuni punti fermi.
1) Pannunzio ha il merito, negli anni del più aggressivo anticrocianesimo, di aver considerato il magistero morale, filosofico e politico di Benedetto Croce un riferimento non negoziabile. Lo dimostrano le annate del Mondo e il Carteggio Croce-Pannunzio che curai nel 1998 e che alcuni hanno voluto curiosamente ignorare. Oggi che l'opera di Croce torna ad essere oggetto di studi, va sottolineato che Pannunzio non si allineò alla vulgata anticrociana.
2) Pannunzio espresse una linea politica che potremmo definire antitotalitaria e antiautoritaria, vedendo nel nazifascismo e nel comunismo i due terribili mostri ideologici del 900.
3) In anni nel quali la demonizzazione del Risorgimento, sull'onda di Gobetti e di Gramsci era imperversante, Pannunzio assunse la «difesa del Risorgimento», per citare un titolo di Omodeo, anticipando l'idea storiografica di Rosario Romeo, il biografo principe di Cavour.
4) Ha torto Valerio Castronovo nel sostenere che nel Mondo ebbe prevalenza l'insegnamento di Salvemini, perché la figura di Luigi Einaudi (di cui lo stesso Ernesto Rossi fu allievo in materia economica), oltre a quella di Croce, ebbe una particolare importanza per Pannunzio e per il suo giornale.
5) Pannunzio fu sempre amico dello Stato di Israele, l'unica democrazia mediorientale, e nel 1967 durante la guerra arabo-israeliana si dichiarò dalla parte di Israele, mentre L'Espresso parteggiò per Nasser e gli arabi.
6) Pannunzio ebbe una concezione della politica mai disgiunta dalla cultura, ritenendo un politico incolto un semplice «faccendiere». Una riflessione più che mai attuale oggi in Italia e non solo.
Nel 2010, d'intesa con il Comune di Roma e la Sovrintendenza, si sarebbe dovuto procedere, per il centenario pannunziano, ad apporre nel palazzo di via Campo Marzio dove nacque Il Mondo una lapide il cui testo era stato già
predisposto e approvato. Fu il proprietario dell'edificio a non dare il consenso. I cinquant'anni dalla morte sarebbero l'occasione per tributare il riconoscimento negato a Pannunzio, che invece gli tributò la natia Lucca.
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