Si apre con Jacques Prévert è un imbecille e si chiude con Il caso Vincent Lambert non sarebbe dovuto accadere, la raccolta di scritti e corrosive riflessioni di Michel Houellebecq, Interventi, che sarà in libreria il 6 settembre per La nave di Teseo, nella collana i Fari, con la traduzione di Sergio Arecco. L'autore de Le particelle elementari, di Sottomissione e di Annientare ci racconta, come ha fatto nei suoi libri, il mondo in cui viviamo, ci parla delle letture e visioni che lo raccontano.
Si adatta perfettamente al dibattito italiano sull'eutanasia e sul fine vita, lo scritto sul caso Vincent Lambert, infermiere di quarantadue anni tetraplegico e in stato vegetativo per undici anni dopo un incidente stradale, diventato il simbolo della battaglia per il fine vita. «E così lo Stato francese è riuscito a imporre ciò che perseguivano con accanimento, e da diversi anni, numerosi familiari: la morte di Vincent Lambert», scrisse lo scrittore su Le Monde dopo l'interruzione delle cure che lo tenevano in vita, denunciando le ragioni economiche che avrebbero secondo lui portato alla decisione di «lasciarlo andare» e l'«eccessiva mediatizzazione» del suo caso.
Houellebecq rincarò la dose nella introduzione di un libro di Emmanuel Hirsch dedicato alla vicenda: «A questo affaire sono state consacrate decine di ore, su tutti i canali, senza togliere dalla testa del grande pubblico l'idea che si riapriva il dibattito sul fine vita. Nonostante non fosse questo il punto, o comunque non avrebbe dovuto essere questo. Per convincersene, basta tener presente che buona parte dei pazienti in stato vegetativo e pauci-relazionale (in uno stato analogo a quello di Vincent Lambert) lo sono in seguito a un trauma cranico, generalmente accidentale». Prosegue lo scrittore: «Non ci troviamo di fronte a dei malati a fine vita, né particolarmente anziani (quando è stato vittima del suo incidente stradale, Vincent Lambert aveva 32 anni). Siamo di fronte a pazienti handicappati, vittime di un handicap molto grave, uno dei più gravi che ci siano, e l'unica domanda che dobbiamo porci è se la nostra società ha il dovere di farsene carico, di curarli, e, nel caso in cui un miglioramento del loro stato fosse impossibile, garantire loro un dignitoso quadro di vita.
La risposta a questa domanda è sì, per delle ragioni morali evidenti (e se la nostra società arrivasse un giorno a rispondere in senso negativo, dovrei da quel momento separarmi da essa)». Nel libro di quasi 500 pagine si parla di Emmanuel Carrère e il problema del bene, di Donald Trump è un buon presidente e di Neil Young.
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