Intervistata dal quotidiano Le Monde in occasione del "Festival du Film Fantastique" di Gérardmer di cui presiede la giuria, Asia Argento ha preso le distanze dal movimento #MeToo di cui era stata una delle più note paladine, prima di esserne espulsa dopo lo scandalo delle accuse di molestie all’attore Jimmy Bennett, 17enne all’epoca dei fatti svoltisi in California dove l’età del consenso è di 18 anni. Il New York Times riuscì a scoprire che l’allora compagno dell’attrice, lo chef Anthony Bourdain, morto suicida mesi dopo, pagò 380mila dollari per il silenzio del ragazzo. Ridotta all’angolo, con Rose McGowan, tra le fondatrici del #MeToo, che su Twitter prendeva le distanze da Asia, l’attrice passò dal ruolo di vittima a quella di carnefice e la sua voce fu silenziata a lungo perché ritenuta non più credibile, nonostante fosse stata tra le prime a denunciare le molestie subite per anni da Harvey Weinstein.
"All'inizio si trattava di denunciare gravi abusi di potere. Ma con il tempo questa vena militante si è dilapidata. #MeToo è diventato un prodotto hollywoodiano, qualcosa che instupidisce, un po' finto e bigotto. Un pass, un vestito da sera e basta", ha dichiarato senza mezzi termini l’attrice che considera il movimento ormai privo della sua spinta vitale iniziale e ridottosi a mero sistema per colpire avversari e concorrenti sui social, condannandoli alla gogna pubblica senza dar loro nessuna possibilità di replica.
Per Asia Argento "il #MeToo è la Democrazia Cristiana in tutto il suo splendore", ossia puro conservatorismo reazionario perché nella battaglia tra i sessi non è cambiato quasi nulla e le poche donne al potere sono sempre le stesse, sia di nome che numericamente parlando. E ancora: "Non penso più che l'Italia sia una cattiva madre. All'inizio del caso Weinstein, i media di destra mi hanno assalita in modo abbastanza disgustoso. Da allora, c'è stato un bel risveglio delle coscienze", ha dichiarato Asia Argento che è già tornata a farsi vedere in tv con diverse ospitate nei programmi di punta italiani.
Intanto c’è chi ancora crede nel #MeToo e non lo rinnega e né è disposto a cedere nella lotta. Sono le femministe che si sono scagliate in massa contro i premi César, in programma il 28 febbraio, in cui Roman Polanski ha ben 12 nomination. In piena esplosione del#Metoo nel 2017 Polanski fu cacciato dall'Academy che decide a chi conferire i premi Oscar per via dello stupro commesso nel 1977 in America, motivo per cui è latitante da 42 anni, nonostante la vittima di quella violenza abbia più volte dichiarato di averlo perdonato.
Il 2019 è stato poi un anno particolarmente tormentato per Polanski, preso di mira dalle femministe francesi. Alla Mostra del Cinema di Venezia, il suo ultimo film, "L'ufficiale e la spia", ha vinto il Leone d’argento, nonostante le polemiche innescate dalle dichiarazioni femministe e pro #MeToo della Presidente della Giuria, Lucrecia Martel. Mesi dopo è arrivata una nuova accusa di stupro da parte dell'ex modella francese Valentine Monnier che ha accusato Polanski di averla violentata 46 anni fa.
Adesso le 12 nomination ai più prestigiosi premi cinematografici francesi. Roman Polanski riesce sempre a far parlare di sé, incontrando sulla sua strada anche chi sa distinguere tra l’uomo e l'artista e, non essendo un giudice, non ritiene di poter emettere sentenze. Si tratta di Alain Terzian, il presidente del César che ha dichiarato: "Il César non deve assumere posizioni morali".
Intanto il regista 86enne ha già in mente un nuovo film con Luca Barbareschi, coproduttore del film che ha dichiarato:"Le 12 candidature rappresentano un onore e il trionfo dell'arte. Con Roman stiamo già lavorando a un nuovo progetto. E speriamo ora nei David di Donatello".Segui già la nuova pagina di gossip de ilGiornale.it?
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