Aurelio Grimaldi racconta l'uccisione di Mattarella

La pellicola sulla morte di Piersanti, presidente della Regione Sicilia, parte bene ma perde il filo tra i teoremi

Aurelio Grimaldi racconta l'uccisione di Mattarella

Sono passati quarant'anni. Ma Piersanti Mattarella, presidente della Regione Siciliana, sta ancora là, crivellato di colpi, nella sua auto a Palermo in procinto di andare a Messa con la famiglia il 6 gennaio 1980.

Due anni prima uno dei suoi due mentori politici, Aldo Moro (l'altro era Sandro Pertini), stava andando a Messa prima di essere rapito a Roma a Via Mario Fani. E sappiamo come è andata a finire. Naturalmente il viaggio interrotto verso il luogo sacro non è un caso perché parliamo di due importantissimi esponenti della Democrazia Cristiana, partito che Bernardo, il padre di Piersanti e del fratello Sergio, attuale Presidente della Repubblica, ha contribuito a fondare. Inizia così Il delitto Mattarella di Aurelio Grimaldi, prima pellicola che affronta in maniera diretta la tragica vicenda ma anche il primo film totalmente inedito che uscirà nelle sale cinematografiche il 2 luglio: «Non siamo voluti andare sulle piattaforme - spiega il regista - perché per me esiste solo la sala. E morirò pensandola così».

In effetti, pur nel suo impianto documentaristico, episodico, nel solco del cinema cosiddetto civile alla Rosi, il film, prodotto da Cine1 Italia e Arancia Cinema «ma - accusa il regista - non dal Mibact che per due volte l'ha bocciato», ha una certa cura per la messa in scena, con soluzioni di regia ricercate, e un'ottima direzione dei tanti attori che si apprezza sul grande schermo. A partire da David Coco che interpreta con autorevolezza Piersanti Mattarella e Donatella Finocchiaro nel dolce ruolo della moglie Irma. Ed è proprio nell'alveo familiare che il film restituisce una grana di sentimenti puri piuttosto commovente.

Ma la storia di Piersanti Mattarella è, ovviamente, quella pubblica, quella della Storia con la S maiuscola, degli interessi della Mafia che la sua presidenza andava a scardinare.

È la storia di un pezzo fondamentale della Dc che Aurelio Grimaldi, anche nel documentato volume omonimo uscito per i tipi di Castelvecchi, racconta senza paura di mostrare l'opacità di personaggi come Salvo Lima, Vito Ciancimino e, soprattutto, Giulio Andreotti capo politico di quella corrente che in Sicilia spadroneggiava: «Voglio sottolineare - spiega Aurelio Grimaldi che per documentarsi ha avuto vari colloqui con il figlio di Piersanti Mattarella, Bernardo - che le mie non sono illazioni ma la fotocopia delle sentenze tra cui c'è quella definitiva su Andreotti la cui associazione mafiosa è confermata fino al 1980 ma con il reato prescritto». Al filone politico, che non vedeva di buon occhio l'alleanza con i comunisti di Pio La Torre (anche lui morto ammazzato), la ricostruzione somma quello dei capi di Cosa Nostra intenzionati a eliminare Piersanti Mattarella che ostacolava i lavori pubblici quando sentiva odore di Mafia.

La faccenda però si complica ulteriormente quando il film inizia a seguire altri percorsi con sigle come Gladio e P2 e l'introduzione della Banda della Magliana pure collegata alla pista nera legata a un tentativo di far evadere Pierluigi Concutelli dal carcere Palermo: «La moglie di Piersanti Mattarella ha visto il killer in faccia e lo ha sempre identificato in tutte le sedi processuali nella figura di un militante neofascista. Ma alla fine i giudici hanno creduto di più a un pentito come Buscetta che ha testimoniato di non aver mai sentito dire che Cosa Nostra avesse incaricato dei neofascisti di ammazzare Mattarella».

Come se non bastasse, Grimaldi decide pure di aggiungere, in uno dei lunghi cartelli esplicativi finali, un incongruo accenno al processo Dell'Utri e al fatto che «Andreotti non fu l'unico Presidente del Consiglio a incontrare il boss Stefano Bontate. Lo fece anche in quel periodo il futuro premier Silvio Berlusconi». Quel periodo era il 1974

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