Il cecchino di Eastwood? Vogliono impallinarlo

Alcuni giurati degli Oscar non hanno perdonato al regista di American Sniper la gag anti-Obama della "sedia vuota". Le candidature sono in pericolo

Il cecchino di Eastwood? Vogliono impallinarlo

da Los Angeles

L'attore comico di 2 single a nozze - Wedding Crashers e della serie Una notte da leoni , l'adorabile nevrotico di Il lato positivo e American Hustle , si è trasformato in Navy SEAL con 10 chili di muscoli in più e la faccia da soldato tutto d'un pezzo, ma non privo di tormento. Bradley Cooper mostra un altro lato con American Sniper di Clint Eastwood. La storia vera di Chris Kyle, il tiratore scelto più letale della guerra in Iraq (si dice abbia ucciso oltre 250 persone), e le sue vicende al suo ritorno in patria, la sua impossibilità d'essere marito (la moglie nel film è Sienna Miller) e padre di famiglia, il suo bisogno di aiutare i veterani afflitti da trauma post-conflitto, e per assurdo colpito a morte da uno dei suoi assistiti, psicotico, in un poligono di tiro. Il film è tratto dalle memorie di Kyle, scritte poco prima della sua imprevedibile e assurda morte, praticamente dietro casa (nel febbraio del 2013).

American Sniper è uscito il 25 dicembre negli Usa, ultimo giorno utile per l'idoneità alla candidatura agli Oscar. Poche sale, grandi incassi. Un atteggiamento prudente in attesa di conoscere, a metà gennaio, il primo responso dell'Academy: almeno per Cooper sembra sicura la candidatura all'Oscar. Il film tocca un nervo scoperto nella coscienza collettiva: la guerra, il suo costo umano, la convinzione individuale. Kyle non è un pacifista: ha una concezione manichea del bene e del male, di cosa sia giusto o sbagliato, è un irriducibile interventista. Eastwood nel film non esprime opinioni, lascia che la storia si narri da sé e che il personaggio centrale si sveli al pubblico. American Sniper fa da complemento ai precedenti Flag of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima , terzo lato di una trilogia bellica.

Il regista ha detto di vedere qualcosa di sé in Bradley Cooper, per questo lo ha voluto. «È un bel complimento», dice Cooper, 39 anni. «Eastwood è un maestro del cinema, con lui è facile lavorare. Ha un modo speciale, quasi magico, di mettere gli attori a proprio agio. Lo amo profondamente. Anche a me piace il jazz, come a lui, che suona bene il piano e compone spesso le musiche dei suoi film. Alla fine delle riprese, una volta sviluppatasi una certa familiarità tra di noi, ho iniziato a chiamarlo “papà”. Ho visto nei suoi occhi del compiacimento».

C'è chi dice però che molti membri dell'Academy of Motion Picture, coloro che votano per gli Oscar, non hanno ancora perdonato a Eastwood il suo notorio discorso della «sedia vuota» al congresso del partito repubblicano di oltre due anni fa (Obama rappresentava la sedia vuota). Un membro votante dell'Academy ci ha detto: «Non perdonerò mai Eastwood per quella patetica perfomance e non voterò mai più per un suo film, fosse pure Quarto potere !». Un altro membro dell'Academy invece afferma: «Non bisogna mai sottovalutare né liquidare Eastwood così facilmente. È uno dei nostri padri fondatori. Non c'è persona a Hollywood che non lo tratti col dovuto rispetto e attenzione». Il film avrebbe dovuto dirigerlo Steven Spielberg. Racconta Cooper: «Spielberg ha poi deciso di non farlo, ma da gentleman qual è mi ha chiamato e mi ha detto che avrebbe fatto di tutto per realizzare il film con me e un altro regista. È stato lui a invitare Eastwood alla regia. Del resto ha prodotto Flags of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima , e con Clint sono amici da decenni. Insomma, mi sono ritrovato in mezzo a queste due grandi figure. Non ho dovuto far altro che fidarmi dei loro consigli».

«Nel 2012 chiamai Kyle per parlare delle sue esperienze e del film che avremmo realizzato su di lui», racconta Cooper. «Era un tipo difficile, schivo, ombroso. Ma intenso e profondo. Aveva appena pubblicato il suo libro, subito diventato un best seller, ma si capiva che non aveva scritto tutto, che c'erano zone d'ombra nella sua storia. Il suo combattimento più difficile era cercare di fare la cosa giusta con la sua famiglia e la moglie Taya, perché Kyle non voleva essere come il 90% dei SEAL che divorziano e finiscono soli. Lui aspirava a qualcosa di più, di meglio». Ma come considera Cooper la sua tragica e in parte eroica figura? «Io lo vedo e l'ho interpretato come un carismatico texano dotato di una calma soprannaturale che ispirava calore e sicurezza in chi lo circondava».

Continua Cooper: «Il film è più uno studio caratteriale che un film di guerra. Mi sono immerso nella parte di Chris Kyle come non avevo mai fatto prima. Ho cercato di capire come vedeva le cose, come parlava, come pensava. La sua famiglia è stata generosa con me, a partire dalla vedova Taya. Ho visto ore e ore di filmati e interviste con Kyle. Aveva un accento texano molto particolare, che cambiava a seconda di ciò di cui parlava. È stato uno studio molto speciale per me. Certamente mi ha cambiato, se non la vita, la prospettiva su tante cose. Ad esempio sul fatto che giudichiamo con troppa disinvoltura i nostri soldati, i militari e ogni persona che rischia la vita per il proprio Paese. Il patriottismo non è solo fanatismo. La disciplina non è solo sottomissione.

La convinzione di un'azione militare non è solo lavaggio del cervello. Noi attori dovremo essere più umili ed evitare di sparare sentenze quando veniamo chiamati a interpretare persone realmente esistite. Kyle mi ha ridimensionato. Per il meglio».

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