"Che fatica la vita nomade. Ma ne vale proprio la pena"

Frances McDormand, protagonista (e produttrice) di "Nomadland", film favorito per l'Oscar, racconta un'esperienza unica

"Che fatica la vita nomade. Ma ne vale proprio la pena"

È uno dei film favoriti alla corsa agli Oscar. Nomadland, con la protagonista Frances McDormand diretta da Chloé Zhao, arriverà il 30 aprile su Star, nuovo canale di Disney +, e al cinema, quando le sale riapriranno. Leone d'oro alla Mostra del cinema di Venezia e vincitore anche al festival di Toronto, Nomadland è la trasposizione del libro omonimo di Jessica Bruder che racconta un'America che pochi conoscono. Eppure, come scrive Steinbeck in Viaggio con Charlie, quello della vita da girovaghi è negli Stati Uniti un fenomeno molto radicato. Che ha due radici molto diverse fra loro ma non in antitesi: da un lato la povertà, la costante ricerca di un lavoro precario, dall'altro la voglia di vivere una vita lontana dal conformismo delle città, a contatto con la natura. In questo ambito vive la sua seconda vita Fern, interpretata da una straordinaria Frances McDormand. Nella prima vita Fern abitava con il marito a Empire, cittadina del Nevada costruita dalla locale compagnia di estrazione mineraria. Quando rimane vedova e la compagnia chiude, lei raccoglie i suoi averi in un furgoncino e attraversa l'America. Un giro a cadenza annuale costante: a Natale il lavoro nei capannoni di Amazon, in estate l'impiego in un parco nazionale, e in mezzo tanti altri luoghi, lavoretti e compagni di strada. «Il bello di questa vita - dice uno di loro - è che non è mai fatta di addii, ma solo di arrivederci. Ci vediamo sulla strada è il nostro motto, prima o poi ci si incontra di nuovo».

A parte la McDormand, David Strathairn e suo figlio Tay, gli altri componenti del cast non sono attori professionisti, ma gente che fa parte di quel mondo. Frances McDormand è anche produttrice del film e ha dalla sua un record: è la prima artista a essere nominata all'Oscar sia come migliore protagonista che come produttrice, grazie alla candidatura del titolo nella categoria miglior film. Choé Zhao è candidata alla regia, prima donna asiatica nella storia del premio.

Signora McDormand, è stata lei a volere Chloé Zhao?

«Sì, è una delle migliori filmmaker in circolazione. E pensare che prima di questo progetto non la conoscevo».

Come è andata?

«Ho letto il libro e l'ho amato molto, poi ho avuto la fortuna di incontrare la scrittrice, al Toronto Film Festival, due anni fa, così è nata l'idea di farci un film. Poi ho conosciuto Chloé Zhao. Ho guardato i suoi film precedenti, Songs My Brothers Taught Me e The Rider - Il sogno di un cowboy, e ho capito che era lei la regista che cercavamo».

E poi?

«Poi tutto si è mosso velocemente, anche se per girare il film abbiamo impiegato più tempo del previsto, con un lungo periodo di pausa fra due momenti differenti di riprese, perché abbiamo aspettato l'avvicendarsi delle stagioni».

Inizialmente doveva essere solo produttrice?

«Sì, ma poi abbiamo cambiato idea e le cose si sono complicate. Soprattutto in un film come questo, veramente indipendente, mi sono ritrovata a fare di tutto, dalla trova-roba alla parrucchiera di me stessa. Ero esausta, ma è più piacevole essere esausti che far finta di esserlo come siamo abituati a fare spesso, in questo mestiere».

Chi è Fern?

«Un essere quasi selvatico che nella prima parte della sua vita è stato domato, salvo poi tornare ad essere sé stesso. Chi fa questa vita in America si divide in due categorie. Ci sono i veri nomadi e chi è stato messo in mezzo alla strada dalla situazione economica. Fern è una vera nomade».

Queste persone hanno il privilegio di vivere la natura in tutta la sua bellezza.

«Non è sempre facile. Ma in mezzo a tanti disagi, a situazioni climatiche estreme, c'è una benedizione: il panorama in cui ti trovi immerso».

Il film è girato con stile quasi documentaristico.

«La cosa ha influito molto sul mio lavoro. Da trentotto anni mi identifico nei personaggi che interpreto, ma questa volta è stato diverso, questa volta è stato necessario più essere nel presente, in una situazione, e poi agire e gestire quella situazione».

La vita di queste persone, di questi nuovi pionieri, è difficilissima ma anche poetica.

«Sì, la loro esistenza, vista dalla prospettiva della gente comune è quasi incomprensibile, facendo conoscere il loro stile di vita mettiamo il pubblico di fronte a una realtà».

E la voglia di partire è contagiosa...

«Fra l'idea di quella vita e la sua messa in pratica ne corre di strada... Ma ci sembrava giusto mostrare quella realtà senza giudicare».

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