I pronostici sono stati rispettati: Mario Desiati con il suo Spatriati (Einaudi) si è aggiudicato il Premio Strega al Ninfeo di Villa Giulia. La scuderia Einaudi era in gara con ben due titoli (Veronica Raimo e il suo Niente di vero era l'altro) su sette invece che cinque finalisti - la vera novità di quest'anno - dovuta alla quota per i piccoli editori e all'ex aequo tra Fabio Bacà, con Nova, (Adelphi) e Alessandra Carati, con E poi saremo salvi (Mondadori) nel giro di votazioni per la selezione della cinquina. Spatriati ha vinto con 166 voti, staccando il secondo, Claudio Piersanti e il suo Quel maledetto Vronskij (Rizzoli) di ben 76 preferenze.
Chi un posto al mondo non ce l'ha ha trovato in questo romanzo di Desiati un inno e un manifesto. È la storia di Claudia e Francesco che crescono insieme, indipendenti a tutto e a se stessi, ma anche appartenenti: all'inquietudine, alla gioventù, a una terra franca, ardente, ai limiti della sprezzatura. Desiati, 45 anni, non è nuovo allo Strega: partecipò già nel 2011, quando arrivò penultimo con Ternitti e a vincere fu Edoardo Nesi. Tra gli altri suoi romanzi, Il paese delle spose infelici (Mondadori) divenuto un film, e Candore, sempre con Einaudi.
Desiati, il giorno dopo lo Strega non è facile per nessuno: come va?
«Non sono ancora lucido e non sono molto affine ai territori promozionali».
Il romanzo non è uscito da poco: un bilancio.
«È un libro a lunga gestazione, che ho iniziato a scrivere nell'ottobre del 2015, quando stavo a Berlino. Sono arrivato a scriverlo in tanti anni perché stavo cambiando come persona e cambiava il mio sguardo sul mondo. Lasciavo l'editoria per dedicarmi alla vita più sociale, lontano dalla mondanità con la quale avevo a che fare per il mio lavoro di editore».
Chi si può ritrovare in un libro come questo, uscito un anno e mezzo fa ma probabilmente presto tra i più venduti in Italia?
«Spatriati è la storia di persone che non si vogliono definire, perciò in questo anno e mezzo alcuni lettori ci si sono senza dubbio ritrovati, ma altri per niente. È un romanzo che divide, perché parla di persone che si liberano e perciò fa paura, perché chi fa un cammino di liberazione fa paura. Io tifo perché nessuno si rappresenti nel libro, perché vorrebbe dire che ho fatto un calco della realtà, solo una copia».
Come è arrivato allo Strega?
«Questo libro per me era archiviato da ottobre 2021: avevo fatto le presentazioni, chiuse con un bell'incontro al Salone Off del Libro di Torino ed ero partito per la Germania, dove mi trovavo per lavorare al nuovo romanzo. Poi, il ritorno. Tanti amici, a cominciare da Alessandro Piperno con il suo Io ti voglio presentare allo Strega, hanno cominciato a sostenere questa necessità: Merita di partecipare, dicevano. Ammetto che non volevo. E infatti al Ninfeo c'erano persone che bonariamente mi hanno rinfacciato: E tu che non ci volevi andare!».
E perché non ci voleva andare?
«Perché so quanto è stressante partecipare a un premio letterario come lo Strega, lo sapevo anche undici anni fa. E allora come oggi, quando partecipano gli amici, dico che è un gioco, ma è un gioco serio. Noi quest'anno abbiamo fatto trenta presentazioni in un mese e mezzo. Condividi tutto con altre persone che conosci lì per lì - gli altri candidati - per un lungo periodo. Io sono stato fortunato, perché ho trovato persone che stimo, ma pensa se mi trovavo con degli stronzi: due mesi, con degli sconosciuti, in un clima di competizione. Non avevo nessuna voglia».
Tanta pressione?
«Rispetto alle presentazioni tradizionali, entrano in gioco altre dinamiche: il valore del libro, il valore dell'autore rispetto agli altri. Per chi è un po' meno stabile, come me, che non mi sento una persona saldissima, c'è pressione».
C'è bisogno di isolamento, allora, per scrivere?
«È un esercizio spirituale, che va fatto in un certo tipo di condizione. Se sei distratto rischi di perdere la lucidità. Ti puoi isolare anche in un contesto di vita sociale, ma nel caso mio ho bisogno di un tempo dove non deve essere l'esterno a contatto con me, ma il contrario».
Quindi si disconnette, anche?
«Quando ero più giovane stavo nei social, ora ho solo dei profili semimorti, che non uso quasi mai. Ogni tanto di nascosto metto una foto su Instagram, ma seguo più che altro quello che scrivono gli altri».
Altra conseguenza dell'essere «spatriati»?
«No, del mio essere insofferente».
Di che cosa parla il suo prossimo romanzo?
«È una indagine genealogica. La storia di un protagonista della mia stessa età e stessa terra che ricostruisce il suo albero genealogico e scopre alcune cose che dal 1800 al 2023 sono state omesse dalla sua famiglia».
A che punto è di questa indagine?
«Avevo scritto un terzo del libro, e io faccio le stesure, quindi mi mancavano due anni e mezzo di lavoro».
Poi è arrivato questo Strega...
«E infatti: devo rivedere i piani. Puntavo alla fine del 2024 ma ormai sarà almeno per il 2025».
Torniamo al presente: perché ha vinto lei?
«Non esistono vincitori e vinti in letteratura, esistono libri e lettori. Poi c'è un premio, che è un gioco, che incontra il gusto di quelle specifiche persone che votano».
Detto questo, qual è l'X factor di questo romanzo?
«Forse è legato al momento storico: dopo due anni di pandemia un libro che si chiama spatriati...».
Li prende tutti?
«Prende una giuria che si è sentita spatriata e prende gli italiani che sono spatriati di natura, che è un altro dei temi del libro. Oggi si migra per motivi economici, ma anche esistenziali e l'Italia è un Paese ad altissima migrazione. Mediamente un tedesco mi chiede: Ma com'è che tu, italiano, clima pazzesco, settanta per cento delle bellezze del mondo, Paese evoluto, minimo dei diritti civili presenti, con questo standard di vita migri?».
E com'è?
«Non saprei. Io da scrittore non so nulla. Se no facevo altro nella vita».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.