Così Pound il visionario cadde vittima dell'"appeal of fascism"

L'autore americano voleva influenzare il Duce ma non ci riuscì. E pagò molto cari i propri sogni

Così Pound il visionario cadde vittima dell'"appeal of fascism"

Il 20 gennaio 1933 Ezra Pound venne ricevuto da Mussolini a Palazzo Chigi presso la sede del ministero degli Affari Esteri. A sollecitare l'incontro era stato proprio il poeta, nel pieno della sua maturità quarantasette anni e da diversi anni residente in Italia. Aveva sollecitato l'udienza già l'anno precedente. Il 23 aprile aveva chiesto, tramite la segreteria particolare del capo del governo, di poter voler manifestare a Mussolini le «proprie impressioni» sull'Italia e una decina di giorni dopo aveva precisato i temi, non certo appetibili, dei quali avrebbe voluto discorrere: «dettagli» da lui «osservati viaggiando in diverse parti d'Italia nell'ultimo decennio»; «condizioni di lavoro nelle miniere di zolfo in Sicilia»; «produttività nell'industria di sughero». A fine anno, poi, aveva inviato un copione cinematografico, scritto con Francesco Ferruccio Cerio e intitolato Le Fiamme Nere, commemorativo della marcia su Roma e del primo fascismo. Nella stessa occasione aveva aggiunto che avrebbe voluto chiedere a Mussolini elementi per «rispondere ad alcune critiche al libro di Ludwig: Colloqui con Mussolini, comparse in giornali americani».

Non è da escludere che il Duce si fosse deciso a ricevere il poeta proprio per quell'accenno al libro-intervista con Ludwig che lasciava intendere l'intenzione di dargli un seguito. Per quanto fosse un lettore onnivoro è, però, improbabile che Mussolini, all'epoca dell'incontro con Pound, conoscesse del poeta qualcosa di più del nome e della reputazione. Quale fosse il suo vero sentimento lo dice il commento «divertente» che egli pronunciò alla lettura dei Cantos. Il che, per inciso spiega perché un politico, realistico e machiavellico com'era lui, rifiutasse ogni ulteriore richiesta di incontro da parte di un poeta che pensava di operare politicamente da artista visionario. Tuttavia Mussolini fu incuriosito da questo intellettuale straniero che gli parlava di moneta e usura richiamandosi a strampalate teorie economiche. E, per così dire, si fece bello citando un poeta francese, Charles Péguy, morto in guerra autore di un libro sul denaro che lui, Mussolini, aveva a suo tempo recensito.

La storia dei tentativi di incontrare di nuovo Mussolini è lunga. Per esempio alla fine di settembre del 1935 il poeta si vide negare una richiesta di udienza, a metà del mese successivo propose di illustrare al Duce il progetto di una Lega dei Popoli ma la segreteria di Mussolini liquidò la richiesta con un appunto che lo definiva «strampalato concepito da una mente nebbiosa, sprovvista di ogni senso della realtà». Provò anche, alla fine del 1936, dopo un ennesimo rifiuto, a scrivere direttamente al Duce saltando la segreteria, una lettera, ispirata dalle sanzioni economiche della SdN nei confronti dell'Italia, nella quale riprendeva le sue idee su moneta, usura e banche. Anche a questa, come ad altre successive, Mussolini non rispose a conferma della sua indifferenza, se non diffidenza, per il poeta.

Nel 1939 Pound si recò in America. Voleva vedere Roosevelt per una missione di pace ma non gli fu possibile. Tornato in Italia, propose al Minculpop varie iniziative di propaganda. Il diplomatico Luigi Villari, che in quel ministero si occupava dei rapporti culturali con gli Usa, formulò parere negativo. Presentò Pound come «uomo di ingegno e cultura e ispirato da ottimi sentimenti» nei riguardi del fascismo, ma «confusionario» e desideroso di «occuparsi di questioni economico-finanziarie sulle quali ha idee alquanto fantastiche». Aggiunse che negli Usa era «apprezzato come poeta» ma non «preso sul serio» come «scrittore politico ed economico» e concluse che, pertanto, una «iniziativa originata da lui non avrebbe avuto molto peso». Malgrado ciò il Minculpop autorizzò la collaborazione di Pound a «Radio Roma», per l'intervento di Cornelio Di Marzio e probabilmente senza che Mussolini ne sapesse nulla.

Nella vicenda non c'è nulla di strano perché allora la propaganda utilizzava frequentemente giornalisti stranieri per trasmissioni in lingua. Pound si sentiva americano tant'è che, prima che gli Usa entrassero in guerra, cercò di tornare in patria e, con l'attacco a Pearl Harbour, sospese le trasmissioni che riprese solo dopo che gli fu negato il rimpatrio. Del resto, queste erano precedute dalla dichiarazione che non gli era stato chiesto di dire nulla contrario alla propria coscienza o incompatibile coi doveri di cittadino americano. In 13 mesi trasmise 125 interventi che per l'opinione pubblica del suo Paese furono irrilevanti e, semmai, contribuirono soltanto a spingere l'intellettualità angloamericana ad esecrare il poeta.

Al momento del crollo del fascismo egli si trovava a Roma Dopo l'8 settembre, iniziò un faticoso viaggio a piedi, in autostop, in treno per raggiungere la figlia in Alto Adige. Qualche settimana più tardi, di nuovo in cammino per Rapallo. L'adesione di fatto alla RSI era nelle cose: Pound si trovava in territorio governato dai fascisti ma soprattutto vide nel fascismo, repubblicano e sociale, l'opportunità per rilanciare le proprie idee. Iniziò così la collaborazione a Il Popolo di Alessandria e a testate minori. Pubblicò, insieme al «gruppo degli scrittori del Tigullio», due manifesti ridondanti entusiasmo per le scelte economiche della RSI.

Vennero poi l'arresto, le terribili settimane rinchiuso in una gabbia esposta al sole di giorno e alla luce accecante dei riflettori di notte. E infine il trasferimento a Washington per un processo mai celebrato, la dichiarazione di infermità mentale e il ricovero nel manicomio criminale St. Elisabeth's. Fino a quando, a seguito della mobilitazione intellettuale promossa da Sergio Solmi e Diego Valeri, dopo dodici anni gli venne restituita la libertà.

Durante l'inferno della detenzione nel Disciplinary Training Center vicino Pisa, egli riuscì a comporre quei Canti Pisani nei quali sono contenuti i pochi ma celebri versi sulla fine di Mussolini e della Petacci: versi drammatici e allucinati che fanno tornare alla mente quanto scrisse Malaparte (altro spirito stravagante, suo amico e corrispondente) nelle pagine di Muss. Versi, tuttavia, che, al di dell'aspetto emotivo, avevano una valenza politica istituendo un parallelo simbolico tra la fine di Mussolini e quella di Mani, il padre del manicheismo, il cui corpo, conciato e imbottito di fieno, era stato esposto al pubblico ludibrio.

Più che di «fascismo» si potrebbe parlare, per il caso Pound, di «mussolinismo». Egli convinto che Mussolini, malgrado non lo ricevesse, fosse un epigono dei geni politici del passato, un «artista» della politica, capace come gli artisti di «intuizioni» ostacolate dalla cerchia di politicanti di professione attorno a lui. E ciò soprattutto nella sfera economica. Pound si era infatuato delle idee di un economista eterodosso, Clifford Hugh Douglas, che aveva teorizzato un programma di riforme monetarie noto come Social Credit. E accanto a quella di Douglas, aveva subito il fascino di un altro economista, Silvio Gesell, critico del capitalismo e dell'usura.

Si potrebbe di un Pound che idealizzava la figura di Mussolini e vedeva in essa lo strumento attraverso il quale proiettare i propri desideri di riforma economica e sociale. Non c'era, alla base del «fascismo» di Pound, una conoscenza approfondita (forse nemmeno superficiale) dei principi teorici o delle basi ideologiche del regime.

Il suo «mussolinismo» o, se proprio si vuole, il suo «fascismo» era una espressione, tutta poundiana e personale, di quel fenomeno di appeal of fascism che interessò tanti intellettuali, prevalentemente anglosassoni, amici dello stesso Pound come Thomas Stearns Eliot, Wyndham Lewis, William Butler Yeats, Gilbert Keith Chesterton, Hilaire Belloc e via dicendo. Sotto questo profilo Ezra Pound è una espressione simbolica e paradigmatica del dramma politico e culturale del Novecento e vive tutte le contraddizioni del suo tempo.

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