Così Romeo fece risorgere lo studio del Risorgimento

Lo storico sfatò il mito gramsciano della "mancata rivoluzione agraria". E spiegò tutti i lati di Cavour

Così Romeo fece risorgere lo studio del Risorgimento

Quando nel 1974 fondò il Giornale nuovo Indro Montanelli, abbandonato il Corriere della Sera per lo slittamento a sinistra voluto dalla proprietà, raccolse attorno a sé il fior fiore della cultura liberal-democratica italiana ed europea. Sulle pagine del quotidiano si ritrovarono François Fejtö e Raymond Aron, François Furet e Gregor von Rezzori, Antonhy Burgess e Renzo De Felice, Domenico Settembrini e Aldo Garosci e via dicendo. Tra i collaboratori del nuovo quotidiano vi fu anche Rosario Romeo. E vi fu in una posizione particolare, quasi di consigliere del direttore. Fui presente a una lunga telefonata fra i due nel corso della quale Montanelli voleva sapere il parere di Romeo sulla opportunità o meno di chiamare a collaborare una illustre personalità del mondo cattolico. Erano gli anni in cui si discuteva negli ambienti politici della proposta di compromesso storico avanzata da Enrico Berlinguer. Ed erano gli anni del tentativo di mobilitare, attraverso il Circolo Stato e Libertà del quale Romeo era stato un fondatore, esponenti della cultura, tanto laici quanto cattolici, proprio contro quella prospettiva.

Al pensiero e all'azione politica di Romeo è dedicato un ampio capitolo della biografia che Guido Pescosolido ha pubblicato con il titolo Rosario Romeo. Uno storico liberaldemocratico nell'Italia repubblicana (Laterza, pagg. 270, euro 30). Una biografia non limitata all'analisi della produzione storiografica del grande studioso, ma che analizza anche la sua carriera accademica e la sua presenza nella vita del Paese, dall'attività giornalistica alla fondazione dell'università Luiss-Guido Carli, dall'impegno meridionalista a quello di parlamentare europeo.

Nato a Giarre, in provincia di Catania, da una famiglia della piccola e media borghesia, Rosario Romeo (1924-1987) ebbe punti di riferimento storiografici ben precisi come Gioacchino Volpe, Nino Valeri, Federico Chabod e, naturalmente, Benedetto Croce. La sua prima opera, Il Risorgimento in Sicilia (1950), fece fare un salto di qualità alla storiografia sul Risorgimento siciliano. Pescosolido ricorda come quest'opera fosse stata stroncata, sulle colonne del settimanale Il Mondo da uno studioso liberale come Panfilo Gentile che vide in essa, per un evidente fraintendimento, un lavoro di impostazione gramsciano-marxista.

In realtà proprio da Romeo sarebbero giunte anni dopo, con il volume Risorgimento e capitalismo (1959), la più rigorosa e distruttiva critica della storiografia marxista sul Risorgimento e la demolizione della tesi gramsciana del Risorgimento come «mancata rivoluzione agraria». Romeo dimostrò come una rivoluzione agraria, anziché favorire il processo risorgimentale, lo avrebbe rallentato. La sua fu una stoccata al cuore della storiografia marxista. E basterebbe questo ad assicurargli un posto di rilievo nel Pantheon dei grandi storici.

Tuttavia l'opera più importante e più conosciuta di Romeo fu la monumentale biografia Cavour e il suo tempo (1969-1984). Questo lavoro in più volumi realizzò, per usare le parole di Pescosolido, «quella fusione tra storia politica e storia sociale ed economica che era stata una delle maggiori carenze delle precedenti biografie e che invece ora trovava il terreno più adatto nella ricostruzione dell'opera di una personalità come quella di Cavour in cui competenze ed interessi economici e sociali, ideali e politici furono sempre tutt'uno».

In questo lavoro, Romeo non soltanto ricostruì minutamente gli avvenimenti, italiani e internazionali legati al processo risorgimentale, ma prospettò anche una interpretazione originale della figura di Cavour. Rifiutando i discorsi puramente apologetici e quelli che tendevano a ridurre Cavour a un mero assecondatore di eventi, ne esaltò la statura e la personalità sottolineandone l'intelligenza politica, la sensibilità diplomatica, la concretezza dell'imprenditore e il realismo che si sarebbe rivelato prezioso per realizzare quel disegno unitario che si inseriva nel quadro della rivoluzione delle nazionalità. Il suo ritratto dello statista è tutt'altro che convenzionale. Nel corso di una conversazione-intervista mi disse: «Fu una persona diversa da quella tramandataci dallo stereotipo del realizzatore. La sua componente intellettuale, certo fortissima, si innestava su una base psicologica insospettabilmente fragile e non a caso, almeno due volte, fu vicino al suicidio. Portò e soffrì la sua vocazione politica con grande partecipazione umana e con una capacità di dominio su se stesso che gli consentì di mostrare un atteggiamento sempre sereno anche nei momenti di maggiore travaglio interiore». Aggiunse che Cavour non si sarebbe riconosciuto nell'Italia di oggi per quella «mancanza o crisi del sentimento nazionale, per lui e la sua generazione criterio di orientamento» e neppure per quella «decadenza dei valori politici e nazionali in confronto all'importanza assunta da problematiche di tipo propriamente sociale».

Il tema dei valori nazionali era caro a Romeo in stretta connessione, però, con il suo europeismo.

Ha osservato Pescosolido che nei suoi lavori egli sottolineò «il senso positivo della storia della nazione ottocentesca come fatto patriottico e di libertà» e non come «mero antecedente» di ideologie autoritarie o totalitarie e si preoccupò di ricondurre «la nostra vicenda nazionale in quel contesto di civiltà europea, che la conteneva irrevocabilmente». Ed è, questa, una notazione importante che spiega come e perché Rosario Romeo sia stato, come storico e come politico, uno spirito autenticamente liberale con un alto senso dello Stato.

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