Non so voi, ma io dei libri sul terrorismo in Italia, di comunisti e fascisti, non ne posso più. Tanto c'è il mio amico Giampiero Mughini che li legge, e quando sono a cena da lui mi faccio fare un sunto, che è sempre lo stesso. Sono come i libri sulla morte di Pier Paolo Pasolini e sulle idee politiche di Pier Paolo Pasolini e sulla visione del mondo di Pier Paolo Pasolini, ormai quando qualcuno mi cita Pasolini mi viene un attacco di narcolessia.
Ma non ho avuto dubbi nel precipitarmi a leggere il nuovo libro di Giuseppe Culicchia, perché è uno scrittore eccellente e perché figuriamoci se avrebbe sfornato la solita tiritera agiografica o sociologica o giustizialista o assolutoria. Il titolo è Il tempo di vivere con te (Mondadori) e il terrorista in questione è Walter Alasia, ucciso in un blitz della polizia il 15 dicembre 1976, non prima di riuscire a uccidere due poliziotti, il maresciallo antiterrorismo Sergio Bazzega e il vicequestore Vittorio Padovani.
Al di là di questo, che in quegli anni è ordinaria amministrazione, tra terroristi ammazzati, magistrati ammazzati, poliziotti ammazzati, non per altro sono gli anni di piombo (minchia però superiamoli questi anni di piombo), la ragione del libro di Culicchia è un'altra, più profonda: Walter era suo cugino, e non un cugino qualsiasi ma il suo cugino preferito, più grande di lui di nove anni. Uno di quei cugini che prendi come modello, ma quei nove anni di distanza sono anche due vite diverse, e la prospettiva del piccolo Beppe non poteva immaginare la reale esistenza di Walter. Per il piccolo Beppe le immagini che passavano i tg erano solo uno sfondo incomprensibile, Lotta Continua, Ordine Nuovo, il rogo di Primavalle, Piazza Fontana, la morte di Pinelli e l'omicidio Calabresi, insomma tutto ciò che di tragico accadeva in quel decennio e che per un bimbo contava poco. Per lui Walter era il compagno di giochi, quello che gli diceva sempre sì. «Adoro giocare con te. Coi nove anni di differenza tra noi, io sono ancora un bambino. Tu eri già ragazzo. Io vivo in un paese di novecento anime. Tu vivi ai margini di una delle più grandi città italiane. Io leggo ancora Topolino. Tu leggi già il Manifesto».
No, non è una biografia di Walter Alasia questa, ma un libro struggente e personale. Il tono di Culicchia, in ogni riga, in ogni parola, è stupefatto e malinconico. Asciutto, analitico, ma venato di sentimenti inespressi, tenuti dentro per decenni. «Mentre io gioco a palla in cortile o passo dal mio triciclo alla bicicletta con le rotelle spingendomi lungo i sentieri costeggiati dai campi di granoturco intorno a Grosso Canavese, tu a Sesto stai diventando adolescente e registri fatti che a me sfuggono: la nascita a Torino del movimento Lotta Continua, l'Autunno caldo».
È lo scrittore che scrive, ma anche il bambino che vorrebbe riavere il suo amato cugino, e probabilmente anche la sua infanzia perduta, quando il non capire era una bolla di spensieratezza, e perfino ricucire, con il senno di poi, quella distanza che all'epoca non vedeva, far incastrare i pezzi, unire il Walter amato e conosciuto all'epoca da ciò che era, riportarlo dentro se stesso in tutt'uno. Le ragioni di Walter adesso Culicchia le conosce, le ragioni del perché Walter aveva scelto la lotta armata mentre Beppe leggeva Alan Ford, ma non bastano, come se restassero incomprensibili sia al bambino che alla parte sentimentale dell'autore. Il quale non può far altro, da scrittore, che scrivere un libro commovente e intimo sul suo amato cugino Walter. Perché, appunto, «è questo il tempo di vivere con te».
Con una possibilità, un passato, un tempo proustianamente perduto per sempre, ma a differenza di Proust neppure vissuto come avrebbe potuto essere se le cose fossero state diverse: «Non mi faccio illusioni. So bene che ci ritroveremo altrove. Ancora una volta: Passi echeggiano nella memoria lungo il corridoio che non prenderemo, verso la porta che non aprimmo mai, sul giardino delle rose».
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