Dall'amarcord Kessler all'ironica Franca Valeri, una (elegante) nostalgia

All'Ariston questa volta va tutto liscio: una standing ovation per la «Signorina snob». Rubino fuoriclasse. E Baglioni esalta

Dall'amarcord Kessler all'ironica Franca Valeri, una (elegante) nostalgia

Sanremo - Massì dai, questo è il Festival di Sanremo come dio comanda, liscio liscio, paro paro, con le gemellone Kessler a doppiare in altezza Lucianina Littizzetto e Francesco Renga a srotolare subito polmoni e talento vestito a sera davanti a un'orchestra. Altro che imprevisti, scenografie in sciopero e operai senza stipendio e grilli senza voce come nella prima serata. Ieri puntata cardinalizia, anche in senso di età media degli ospiti.
Prima Alice ed Ellen, classe 1936, pressoché identiche a quando ballavano la stessa canzone che hanno ballato ieri sera: Quelli belli come noi della Canzonissima '69, suppergiù il Pleistocene della tv. Poi, dopo l'accento tetesco da professor Birkenmaier di Armin Zoeggeler («Tu non sai esattamente dofe sei in tragvuardo») e lo slittinare veloce di Giuliano Palma e Noemi (in crescita) è arrivata Franca Valeri, classe 1920, affaticata a rimanere in piedi ma lucidissima durante lo sketch con Fazio e ancor di più quando la Litti entra in scena armata di cellulare e molta reverenza. Di sicuro lei, la Signorina Snob, meriterebbe un posto da senatrice a vita, altro che un'ospitata a Sanremo.
A Sanremo va alla grande Renzo Rubino, animale da palco, scommessa di Mauro Pagani dopo il Premio della Critica dello scorso anno, comunque un fuoriclasse. E sapete che c'è? I tanto discussi, attesi, paparazzati presenters alla fine scivolano via più veloci dello slittino di Zoeggeler ma assai meno memorabili. Kasia Smutniak splendente. Gianantonio Stella impacciato. Veronica Angeloni boh. Clemente Russo grintoso. Questo è il Festival di Sanremo, signori, musica e italianità, musica e nostalgia. Perciò Claudio Baglioni, assente da trent'anni e più, è il più sanremese di tutti anche se qui non s'è mai sognato di mettersi in gara. Gli basta il medley che l'orchestra riesce a esaltare come si deve: Questo piccolo grande amore/E tu/Strada facendo/Avrai/Mille giorni di te e di me. What else? La melodia barocca. L'imprimatur della tradizione. La voce del Divo Claudio cristallina e millimetrica perché lui dopotutto è uno dei più implacabili nell'intonazione. Boati in sala all'Ariston. Lacrime sui divani di casa.
Certo, ci perde (o ci guadagna?) Riccardo Sinigallia ad arrivare subito dopo con due brani malinconici e introspettivi e collocati forse nella parte sbagliata della scaletta perché sono da notte e pensieri fondi, più che da prima serata. È la fase lunare della seconda serata, con un Sinigallia alla grande occasione (giocata bene). Tanto dura poco. Il Festival stavolta è un metronomo. Tic toc. Tic Toc. Un cantante dietro l'altro. Ritmo serrato, altro che Olimpiadi di Sochi. Anche la statistica è piuttosto implacabile. Passa quasi sempre il secondo come nel caso, tanto per dire di una Noemi con taglio di capelli molto british e abito molto Nilla (Pizzi). Va avanti con la bella e sinuosa Bagnati dal sole, giusto per dire una delle favorite alla vittoria finale. Poi certo, c'è Francesco Sarcina, guascone e velatamente rock. Poi l'enorme, trasversale, sornione Rufus Wainwright, canadese però americano d'adozione, pupillo di Elton John e di quasi tutta l'intellighenzia pop del globo terracqueo, fresco di contestazione dei Papaboys in mancanza di prove perché totalmente privo di ogni caratura blasfema.
Come si capisce dalla sua Cigarettes and milk, autentico gioiello al di sopra di ogni sospetto.

Insomma, giusto il tempo di qualche nuova proposta (grande Filippo Graziani figlio di Ivan, buono Diodato, sorprendente Zibba, attenzione a Bianca) e poi il Festival arriva alla sua benedetta fine. Per gioia di Fazio (che così ieri se ne è andato a dormire prima, come chiede ogni volta). E forse un po' meno dell'Auditel perché, si sa, senza colpi di scena lo share s'ammoscia anzichenò. Dicono.

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