Si dice, o meglio ci dice un lungo «Sommario» ritrovato nella Biblioteca dell'erudito bizantino Fozio, patriarca di Costantinopoli del IX secolo, che Antonio Diogene, un greco vissuto, forse, nel I secolo dopo Cristo, abbia scritto Le meraviglie di là da Tule, una specie di romanzo di viaggio, una saga di avventure divisa in ventiquattro libri e «piena di sottotrame concatenate, che a quanto pare attingeva a fonti colte e fantasiose insieme, mescolava i generi allora esistenti, si divertiva con il concetto di finzione e potrebbe aver narrato il primo viaggio letterario nello spazio». Così scrive Anthony Doerr di questa storia, andata perduta nel corso dei millenni, che ha ispirato il suo nuovo romanzo, La città fra le nuvole (Rizzoli, pagg. 704, euro 22; in libreria da oggi). L'autore americano, premio Pulitzer e Carnegie Medal nel 2015 per Tutta la luce che non vediamo (Rizzoli), un bestseller che ora sta per diventare una miniserie Netflix, in La città fra le nuvole vuole compiere un salto in più: non che avere venduto quindici milioni di copie sia stato poco, ma alcuni critici lo hanno sempre considerato troppo «semplice», troppo «accessibile» per il pubblico (che infatti divora i suoi romanzi). E il salto, in questo caso, è tutto interno al mondo della letteratura, o meglio, come spiega lui stesso nella Nota finale, La città fra le nuvole «vuole essere un peana ai libri» che «sorge sulle fondamenta di molti altri libri», antichi e non; un peana che, insieme a essi e ai loro autori, celebra anche chi ha cercato di custodirli attraverso i secoli, a volte vanamente, perché sono andati dispersi o distrutti, a volte riuscendo a salvarli, sfidando i pericoli e il destino.
Ed è ciò che capita, appunto, ai personaggi di La città fra le nuvole, un romanzo che comincia, nella mente del suo autore, sotto le mura di Costantinopoli. Mastodontiche e inespugnabili per secoli, hanno difeso i suoi abitanti e moltissimi libri, antichi e preziosi, come quello che si ritrova fra le mani la giovane Anna. Negli anni a ridosso dell'assedio, orfana e con una sorella malata da accudire, Anna vive in convento e lavora come sartina: a ricamare è scarsa, ma per le strade della città ha incontrato il vecchio maestro Licinio, che le ha insegnato a leggere. L'alfabeto è quello greco, i primi vocaboli che impara sono «oceano» («Qui il noto. Qui l'ignoto») e «mito» («parola delicata e mutevole, che può alludere a qualcosa di falso e vero al tempo stesso»). Poi Anna inizia a leggere i frammenti di un certo Antonio Diogene: è la storia di Ètone, pastore ignorante, che vede una rappresentazione degli Uccelli di Aristofane e, credulone com'è, si convince che Nubicuculia, la città fra le nuvole, dorata e paradisiaca, esista davvero. E si mette sulle sue tracce, diventando somaro, pesce, uccello... Dall'altra parte delle mura di Costantinopoli c'è Omeir: soldato del Sultano, è stato costretto a partire con i suoi due buoi gemelli. Fra le montagne della Bulgaria, da dove proviene, è temuto come un demone, per via del labbro leporino. L'incontro fra Anna e Omeir avviene nel 1453, quando Costantinopoli crolla. Che ne sarà di quei frammenti della storia di Ètone? Il lettore li ha già incontrati in altri due momenti e luoghi molto diversi del romanzo. Uno è nel XXII secolo sulla Nave Argos, in missione da 65 anni, alla ricerca di un pianeta ospitale dopo avere lasciato una Terra ormai inabitabile, dove la giovane Konstance ritrova i tasselli di quella storia che le raccontava il padre quando era bambina, «stampandoli» dalla biblioteca dell'Intelligenza artificiale che governa l'astronave, l'enigmatica e inscalfibile Sybil. L'altro è nel 2020 a Lakeport, Idaho, dove Zeno Ninis, ex veterano della guerra di Corea, nella biblioteca locale ha messo in scena una rappresentazione di... Nubicuculia, la storia di Ètone e delle sue peripezie, da lui stesso tradotta. Gli attori sono cinque bambini entusiasti. Tutti, grecista e bambini, sono ignari della presenza di Seymour, un giovane solitario e innamorato della natura al punto da finire nella rete degli ecoterroristi e mettere una bomba nella biblioteca, proprio nel giorno delle prove generali della recita.
È nell'intreccio di questi tre piani temporali e delle vicende dei personaggi che si realizza la trama (perfettamente circolare) del romanzo; ed è Ètone, che vuole «volare in un posto che non esiste» (ma lui crede che esista, eccome, «a che valse altrimenti ogni cosa?») a tirare le fila, come un paradosso di narratore, come a dire che, al fondo di ogni racconto, c'è la follia del gesto di chi non sa, eppure vorrebbe tentare di sapere, come sanno le aquile che possono volare fino alle porte di Nubicuculia, dorata e perfetta. Sarà poi così, questa città sognata? Non si può rovinare il finale, ma una cosa è certa: quella di Ètone, come tutte le storie, è destinata all'anima. A consolare chi soffre, a far sperare chi è nel buio.
Come desiderava Antonio Diogene, che scrisse la storia di Ètone per la sua nipotina malata. Per amore, insomma, che è ciò che ci spinge ad avere cura, a scrivere, a leggere, e a cercare città perfino lassù, fra le nuvole.
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