di Davide Brullo
Semplifico. Con Dante abbiamo insegnato all'Occidente come si solletica la spalla di Dio grazie alla poesia; con Petrarca come si canta l'amore; con Marco Polo abbiamo dato istruzioni in merito al racconto del meraviglioso; con Machiavelli abbiamo decrittato l'arte della politica. In sostanza, la lingua italiana ha filato il concetto di Europa. Dovremmo esserne fieri. Al contrario, i governi parlano di tutto tranne che dell'unica cosa che conta, l'affare culturale: vogliono mettere a tacere l'intelligenza con il reddito di cittadinanza, dovrebbero, piuttosto, regalare una biblioteca a ogni italiano che se la merita. Per fortuna, una ricerca pubblicata da «Ethnologue», che è una emanazione di SIL International sono evangelici, sede a Dallas mette le cose in chiaro: l'italiano è la quarta lingua più studiata al mondo. Dopo l'inglese colonizzatore, lo spagnolo, il cinese. Prima del francese. A fare il paragone con l'entità dei parlanti siamo poco più di 60 milioni, una toilette nel palazzo planetario il dato è impressionante. Uno scatto d'orgoglio (merito, soprattutto, dell'ottantina di Istituti Italiani di Cultura che organizzano corsi di italiano in ogni angolo del globo) che va custodito con cura. La lingua italiana, nonostante quelli che la sputtanano con anglicismi da dinosauro in frac, nonostante l'imperativo categorico, nelle scuole patrie, d'impartire l'inglese a go-go e l'informatica come oppio per cretini, piace. E molto. Recentemente mi è capitato di andare a Oulu, estremità della Finlandia, a far chiacchiere sul Paradiso di Dante e vedere frotte di finnici a recitare la Commedia in perfetta dizione carducciana. Ad ogni modo, sono 2 milioni e 145mila gli studenti che in 115 paesi del mondo si applicano nella nostra lingua; va peggio nella matrigna Europa, dove i programmi scolastici propongono nel menù per lo più inglese, francese, tedesco e spagnolo. Come è noto, gli italiani, sadici per natura, disintegrano i propri gioielli di famiglia: l'italiano è amato all'estero come fonte d'identità ma sfregiato in Italia. Se in tutto il mondo fanno a gara per studiare l'italiano, è bene che anche gli italiani si applichino. Forse è il tempo di far risuonare l'antica, provocatoria proposta di Anthony Burgess. Europeo ma non «europeista», il grande scrittore, invitato a Venezia a un convegno organizzato dal Parlamento Europeo, era il 1989, disse che l'Europa unita doveva parlare un'unica lingua. «Ma questa lingua comune non può essere l'inglese». E sbottò. «Bisogna tornare al Latino, dove è iniziato tutto, e all'italiano».
Gli risero dietro. Lui, ostinatamente amico dell'Italia, pensò che gli italiani non fossero degni della loro lingua e quindi della loro Storia. A questo punto, facciamo la Storia con l'italiano anche senza gli italiani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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