Prima biografo di Gabriele d'Annunzio, poi presidente della meravigliosa casa che donò agli italiani, negli ultimi anni ho dedicato molte energie per rendere la casa e il parco sempre più belli e visitati. E per liberare l'immagine del poeta dalla patina di pregiudizi che lo avvolge (sempre meno). Figurarsi la mia allegria quando, nel 2018, arrivò la richiesta di girare un film su d'Annunzio proprio al Vittoriale degli Italiani.
Le carte che la produzione metteva sul tavolo erano eccellenti. Sergio Castellitto è un attore colto, e sa interpretare i personaggi da dentro. Il regista Gianluca Jodice, giovane e all'esordio con un lungometraggio, aveva già dato prova di maestria. Il produttore Matteo Rovere aveva appena girato, anche come regista, lo straordinario Il primo re, racconto non convenzionale e realistico della nascita di Roma. Restava da leggere la sceneggiatura, ma alla fine mi brillavano gli occhi, come in trasparenza al testo luccicavano le tesi che avevo esposto in D'Annunzio, l'amante guerriero e in La mia vita carnale.
Il Vate venne bollato come perversamente stravagante dalla borghesia piccina e provinciale dell'epoca per i suoi amori liberi, la sua passione per il lusso, il suo passaggio politico di fine Ottocento da destra a sinistra. Il marchio gli è restato, anche se era, da bravo genio, un precursore: noi oggi amiamo il consumismo, desideriamo il lusso e rivendichiamo la libertà sessuale anche grazie a lui. Quanto ai passaggi politici
Nel 1921 quando arrivò in quello che sarebbe diventato il Vittoriale, cento anni fa d'Annunzio era anche stato un supereroe di guerra, aveva conquistato una città senza sparare un colpo e l'aveva tenuta per sedici mesi, primo e unico poeta al comando di uno Stato, sfidando il mondo intero e tentando una rivoluzione globale. La costituzione che scrisse per Fiume è una delle più avanzate e democratiche del Novecento. Ma Mussolini lo tradì e Giolitti lo prese letteralmente a cannonate.
Decise di ritirarsi, e assistette incredulo al trionfo del duce, che lo considerava «come un dente guasto, o lo si estirpa o lo si copre d'oro», mentre d'Annunzio gli ricordava che «sei vetro contro acciaio». La sua presunta adesione al fascismo è un falso storico: rispetta il duce, il demiurgo che ha saputo conquistare il potere, ma non ama i fascisti («camicie sordide») e detesta il fascismo, accettandolo soltanto per il comune nazionalismo e perché lo onora in ogni modo. Però la misura è colma quando, nel 1937, si avvia l'alleanza con la Germania nazista. Il Vate definisce Hitler «ridicolo imbianchino».
E qui comincia il film, che non mente: la sua influenza, ancora enorme, mina i piani del regime e Achille Starace ordina al giovane federale di Brescia, Giovanni Comini (un eccellente Francesco Patanè), di aggiungersi alle molte spie che Mussolini ha messo intorno a d'Annunzio. Di inventato ci sono una storia d'amore di Comini e l'anfiteatro del Vittoriale, che vedrete quasi completo ma che allora non c'era, l'abbiamo terminato l'anno scorso. Per il resto è tutto vero e ben raccontato: l'architetto Gian Carlo Maroni, Luisa Baccara padrona di casa e compagna in bianco da molti anni, l'oggetto del desiderio Aèlis Mazoyer, governante e amante, e la cameriera-amante-infermiera Emy, arrivata da poco, che si sospetta sia stata messa lì dai tedeschi per neutralizzarlo in qualsiasi modo, sesso, droga e forse veleno.
Non farò lo sgarbo si raccontare il resto, concludo con i miei timori prima di decidere se dare il permesso. Si trattava di chiudere il Vittoriale per quasi un mese, tranne le domeniche, ma gennaio-febbraio è il periodo di minore afflusso. Occorreva anche lasciare che una vastissima schiera di tecnici invadesse una casa che contiene fitti fitti, uno sopra l'altro ventimila oggetti, molti preziosi di per sé, tutti per il loro valore storico, ognuno ormai unico e irripetibile. Una notte, prima della firma, ebbi un incubo: «Ahò, passame er cavo», diceva un elettricista, e nell'impeto abbatteva una fila di splendidi elefanti orientali in ceramica di antica e raffinata fattura, precipitandoli sulla scrivania nella stanza della Zambracca, dove d'Annunzio morì il 1° marzo 1938. Reclinò il capo, gli caddero gli occhiali, e gli occhiali sono ancora lì, niente è stato più toccato da quel giorno, se non per pulire meticolosamente e rimettere tutto a posto.
Dopo l'incubo, la realtà non fu da meno. Per girare un dialogo in una stanza, prima ne svuotavano metà, poi la rimettevano com'era, e svuotavano l'altra metà, in un groviglio di cavi e macchinari, ordini e pericoli.
Ebbene, però, ogni cosa è tornata a posto, non c'è stato il minimo danno, e lo dobbiamo alla cura di chi ha lavorato sul set, i tecnici del cinema e i miei collaboratori, che vegliavano l'eredità degli italiani come chiocce sui pulcini.Adesso, con un anno e mezzo di ritardo, anche Il cattivo poeta ha battuto il covid. Andate a vederlo, poi venite a vedere il Vittoriale - o viceversa - e vi sembrerà di fare un sogno nel sogno.
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