Quando andò in Inghilterra, nel 1965, il giovane Bob Dylan volle incontrare quel guru segaligno e un po' mefistofelico che rispondeva al nome di John Mayall ed era già il padre bianco del blues, su investitura dell'altrettanto mitico Alexis Korner. Bob e John suonarono anche insieme in una jam session ancora oggi inseguita dai fan, ma sicuramente mai registrata da nessuno. Korner è già scomparso da anni, invece Mayall, a 86 anni, non ha perso la voglia di fare concerti e album (prima della pandemia ha inciso Nobody Told Me, probabilmente il suo miglior album degli ultimi 30 anni) all'insegna delle 12 battute.
Mayall suona chitarra, armonica e tastiere, non è un virtuoso ma ha tocco, colore e stile e sa come arrangiare le canzoni e tenere insieme una band, così alla sua corte passano (e lasciano il segno) Eric Clapton, Mick Taylor e Peter Green ma anche decine di altri graduati del rock blues inglese come Dick Heckstall Smith, John McVie e moltissimi altri. «Ascoltavo anche molto jazz - ci disse un giorno Mayall - ma il blues era più sanguigno e viscerale, ti colpiva dentro come un solido pugno».
I maestri di Mayall furono i bluesmen di Chicago del dopoguerra come Otis Rush e Magic Sam ma anche altri pezzi da novanta come Freddie King, di cui incise lo strumentale Hideaway con la chitarra di Clapton e a cui dedicò un intero album. Nel suo cuore c'erano anche personaggi meno noti come il chitarrista nero di protesta J.B. Lenoir, che subì in prima persona i problemi del razzismo e a cui Mayall dedicò l'evocativa I'll Fight For You J.B.. Dopo aver ascoltato Korner in un cub, nel 1963 Mayall forma il suo primo gruppo aperto, che spopola al Klooks Kleek, lo storico locale londinese dove si riuniscono i bluesofili. Dopo due anni in cui il nostro mette insieme blues, r'n'b, spruzzi di rock e invenzioni sonore, Mayall pubblica per la prestigiosa Decca il primo album, John Mayall Plays John Mayall, con brani originali e cover personalizzate di grande intensità come I Need Your Love dal repertorio di B.B.King. Lo stesso anno arriva la svolta con il marchio The Bluesbreakers, con cui prima incide un 45 giri prodotto da Jimmy Page, poi pubblica l'omonimo album (con lui ed Eric Clapton a dare libero sfogo alla loro passione per il vero blues elettrico), capolavoro ancora presente nelle classifiche degli album più belli di tutti i tempi. Difficile parlare di Mayall senza ascoltarlo (non a caso ha inciso un centinaio di dischi compresi i live), per questo è interessante il gigantesco cofanetto appropriatamente intitolato The First Generation che contiene ben 35 dischi (con molti concerti inediti e radio show) e due libri. Per capire quanto sia prolifico, basti dire che il box contiene la sua opera del periodo 1965-1974, quello più prolifico e che contiene grandi dischi come Hard Road, Bare Wires con accenti jazz rock, uno dei suoi lavori più difficili dell'epoca che, paradossalmente, si piazza al terzo posto delle classifiche. «Nel '67 - ricorda Mayall - ho deciso, senza tradire l'anima del blues, di seguire anche altri territori e di attingere a nuove sonorità».
Nascono così lavori seminali come Blues From Laurel Canyon, deciso ed elettrico e - per contrasto, dopo il suo trasferimento in California, la perla acustica The Turning Point, con la collaborazione dei magnifici virtuosi Johnny Almond ai sax e al flauto e Jon Mark alla chitarra acustica, che negli anni Settanta daranno vita ad un popolare e creativo duo che partorì dischi elettroacustici di rara bellezza come Rising.Sul finire degli anni Settanta la sua palestra d'ardimento è quasi chiusa. Lui continua ma al suo fianco ci sono musicisti rodati e atipici, come per esempio il violinista Sugarcane Harris. Tra i capolavori di John c'è l'intenso Jazz Blues Fusion, che anticipa strade poi percorse da molti suoi ex discepoli e non solo.
Il suo stile e la sua personalità sono inimitabili e ben
documentati in questo box che contiene anche 28 performance dal vivo (alcune non hanno un suono proprio perfetto) e una rara esibizione con Paul Butterfield, per molti versi (anche se solo armonicista) il suo omologo americano.
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