"Einstein non concepiva la scienza senza filosofia"

Nuova traduzione per le note auto-biografiche: "La teoria del tutto aveva anche un valore estetico"

"Einstein non concepiva la scienza senza filosofia"

Einstein secondo Einstein (Hoepli, pagg. 270, euro 24,90) non è «solo» una versione commentata delle Note autobiografiche di Albert Einstein, proposte nella nuova traduzione di Luisa Doplicher, con l'aggiunta dell'Abbozzo di autobiografia del 1955 e la Prefazione di Albert Einstein al volume italiano per il cinquantenario della relatività (sempre del '55): gli autori, Hanoch Gutfreund (professore emerito di Fisica teorica all'Università Ebraica di Gerusalemme, dove dirige gli Albert Einstein Archives) e Jürgen Renn (direttore all'Istituto Max Planck per la Storia della scienza) trasformano questo loro studio/commentario/analisi in un viaggio nel mondo di Einstein, nel suo modo di lavorare e di pensare e, anche, di confrontarsi con altri pensatori e scienziati, contemporanei e non solo. Ne parleranno a Trieste, il 16 luglio, nell'ambito del convegno «The evolution of knowledge» organizzato dalla Sissa (Teatro Miela, ore 19).

Perché le Note autobiografiche sono un «documento essenziale» del pensiero del XX secolo?

«Il testo di Einstein presenta la sua prospettiva personale su alcuni degli sviluppi più importanti della scienza nel XX secolo, sviluppi ai quali egli stesso ha contribuito significativamente. Ciò che rende il suo resoconto unico è l'enfasi sui processi del pensiero che hanno portato a questi risultati, e non sui risultati stessi. Il che è coerente con la sua affermazione che quello che conta, nella vita di qualcuno come lui, non è quello che ha fatto, e quando, bensì che cosa pensa, e come pensa».

Qual è il fulcro di queste Note?

«Una autobiografia intellettuale che offre non solo una comprensione profonda del pensiero di Einstein, ma della natura del pensiero scientifico in generale. Evidenzia, anche, le radici del suo pensiero nella sua formazione giovanile e nell'ambiente famigliare».

Scrivete che le Note sono uno specchio, autobiografico, attraverso cui si può guardare l'intera Storia del XX secolo.

«Sì, perché la vita e il lavoro di Einstein sono profondamente intrecciati con quella Storia: egli ha vissuto tutti i momenti più bui del secolo scorso, era un osservatore attivo e partecipava molto, esprimendo le sue opinioni su tutti i grandi avvenimenti».

Quando ha scritto le Note?

«Nel 1946, appena dopo la Seconda guerra mondiale, lo sgancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki e l'Olocausto, quando il mondo si stava appena riprendendo da queste devastazioni».

E perché, visto che si era sempre opposto all'idea di una autobiografia?

«Lo aveva convinto Arthur Schlipp, che non era solo un filosofo ma, come Einstein, era impegnato nella battaglia per la Pace Mondiale. Questo, e l'ammirazione di Einstein per Bertrand Russell, che aveva dato un suo contributo alla stessa collana, probabilmente hanno fatto la differenza».

Questo impegno può essere un esempio oggi?

«Sì. Mostra quanto la scienza e la filosofia e, più in generale, la riflessione, siano interconnesse nelle grandi conquiste intellettuali. Oggi questa interconnessione si è in gran parte persa, ma il libro ci incoraggia a ravvivare questo legame».

Einstein era uno scienziato-filosofo?

«Einstein non era solo preparato filosoficamente e ben informato: ha contribuito lui stesso alle discussioni filosofiche e usato queste riflessioni per comprendere meglio la sua stessa scienza».

Einstein si definisce uno studente «mediocre»...

«Non era affatto mediocre, è solo che odiava il carattere autoritario delle scuole tedesche del tempo. Era più attratto dai libri divulgativi sulla scienza, che lo ispiravano a tentare delle speculazioni, per esempio, sulla natura della luce».

Nel libro c'è un confronto affascinante con le Confessioni di Sant'Agostino.

«Probabilmente Einstein aveva letto le Confessioni - ne aveva una copia nella sua biblioteca - e potrebbero essergli servite, forse inconsciamente, da modello per narrare l'essenza della vita di qualcuno, laddove quell'essenza sia di natura intellettuale, o spirituale».

Da quali filosofi è stato influenzato di più Einstein?

«Da giovane aveva letto Schopenhauer, Kant, Hume e il fisico-filosofo Ernst Mach. Si identificava nel disprezzo di Schopenhauer per le futilità della borghesia e, nei primi anni della sua carriera, nell'empirismo di Hume e Mach. Descrivendo il proprio cammino verso la teoria ristretta della relatività, affermò: È assai possibile che, senza questi studi filosofici, non sarei arrivato alla soluzione».

Chi altro lo ha influenzato?

«Insieme ai suoi amici del gruppo dell'Akademie Olympia aveva letto le grandi opere della letteratura. In quegli anni era grandemente influenzato dalla filosofia di Spinoza, con cui si identificava intellettualmente ed emotivamente. Più tardi fu influenzato da pensatori contemporanei, come Moritz Schlick e Hans Reichenbach».

In che senso era un «missionario della scienza»?

«Credeva che il mondo potesse diventare un posto migliore grazie alla scienza, e che la scienza potesse essere spiegata in modo accessibile. Perciò tenne conferenze pubbliche, a casa e quando viaggiava, e scrisse libri divulgativi».

Nel libro sottolineate come, all'epoca, la ricerca di una teoria unificata della fisica, da parte di Einstein e Planck, fosse culturalmente diversa da quella perseguita dalla scienza di oggi: potete spiegare questa differenza?

«Essi consideravano una visione unificata del mondo fisico come l'obiettivo ultimo del fisico teorico. Entrambi ritenevano che questa teoria unificata fosse, anche, la realizzazione di un ideale estetico. Il che può essere ancora vero per l'odierna ricerca di una teoria del tutto, ma l'estetica è sicuramente cambiata. Nel caso di Einstein e Planck, l'ideale era plasmato sui modelli della teoria dei campi classica e della termodinamica».

Quali furono i legami di Einstein con l'Italia?

«La famiglia di Einstein aveva una azienda di elettrotecnica nel Nord Italia, e lui trascorse alcuni dei periodi più felici della sua gioventù proprio lì, facendo conoscenze e amicizie che durarono per tutta la vita. Parlava italiano, amava il Paese e la sua cultura, e aveva un interesse attivo nella sua vita scientifica. In seguito sviluppò rapporti stretti con il matematico e fisico Tullio Levi-Civita. La sua visita in Italia nel 1922 ha avuto un ruolo nella ricezione della teoria della relatività generale da parte della comunità dei fisici italiani».

Nelle Note non prevede alcun futuro per la teoria dei quanti. Perché questa posizione così rigida?

«Einstein riconosceva il successo della meccanica dei quanti, ma essa non lo soddisfaceva dal punto di vista concettuale. Non poteva accettare la mancanza di determinazione nel dominio del microscopico. Perciò si prese la libertà di cercare una immagine alternativa del mondo fisico, lontana dal mainstream».

Qual è il messaggio in bottiglia che dalle Note Einstein ha mandato fino a noi?

«Coltivate la scienza, perché può tirare fuori il meglio da noi umani».

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