Esterno notte di Marco Bellocchio, opera presentata il secondo giorno del Festival di Cannes in corso, è attualmente al cinema e ripercorre uno dei momenti più drammatici della storia della Repubblica Italiana: il sequestro Moro.
Allo stesso tema il regista aveva già dedicato nel 2003 il film “Buongiorno Notte”, ma se quasi vent’anni fa il fatto era inquadrato cinematograficamente dal punto di vista di una giovane terrorista coinvolta nel rapimento, oggi Bellocchio sposta la narrazione, come “annunciato” nel titolo, all’esterno di quel cubicolo in cui per 55 giorni Moro trascorse la prigionia, proponendo i medesimi eventi vissuti dalla prospettiva ora dal rapito, ora dai suoi colleghi e pseudo-amici, ora dalla famiglia, ora dai brigatisti. A ogni episodio o capitolo che dir si voglia, a seconda che si percepisca l’opera come miniserie o lungo film, scopriamo la reazione di chi pur non essendo fisicamente accanto a Moro è gioco forza sotto il giogo dello stesso dramma.
La dilatazione temporale in quasi sei ore di girato permette un approfondimento degli ideali, delle motivazioni profonde e delle fragilità di tutte le parti interessate.
Si va dalle stanze dei bottoni, in cui protagonista è soprattutto il Ministro dell'Interno Francesco Cossiga (Fausto Russo Alesi), a quelle vaticane di Papa Paolo VI (Toni Servillo), dalla dimensione domestica di Eleonora Moro (Margherita Buy) alle divisioni interne che nascono tra gli aguzzini.
L’incipit, dopo l’immaginifica sequenza in cui Moro appare liberato e grato alle Brigate Rosse per la clemenza (ma non siamo nel revisionismo storico alla Tarantino), si sofferma sulla genesi dell’astio trasversale per quest’uomo gentile e onesto: i tempi non erano maturi per la sua visione politica, l’ipotesi del compromesso storico tra DC e PCI agitava gli animi e creava nemici ovunque.
In “Esterno notte” la corte di politici pullula di personaggi faziosi o vili o ipocriti, con focus su un Cossiga disturbato e irrisolto al punto da venire poi definito “bipolare”. Lo vediamo vittima di psoriasi psicosomatica, nonché paralizzato da allucinazioni paranoiche. Il suo assurdo peregrinare tra intercettazioni telefoniche, consulenze e false speranze, regala piccoli scorci di assurdo, le sole parentesi ilari dell’intero racconto. Andreotti (Fabrizio Contri) è il ritratto dell’impenetrabilità ma bastano un paio di pennellate a definirne il pericoloso sposalizio tra essenza autoindulgente e rigidità bacchettona. Verso la fine della narrazione non si faranno sconti a quella che viene etichettata come laida ignavia, ma sarà durante l’unico momento di vera fiction, ossia la confessione di un condannato a morte che nella realtà nessuno ha udito ma il cui supposto contenuto deve aver pungolato a lungo molte coscienze.
In “Esterno Notte” sono molti gli uomini tutto sommato mediocri ma raffigurati in posizioni di potere (istituzionale o criminale che sia). Perfino di una figura di indubbia statura spirituale come papa Paolo VI si accentuano il senso di inadeguatezza, la confusione e l'umana indecisione. In alcuni è la mancanza di lungimiranza, in altri lo scarso coraggio, ma il risultato non cambia: ognuno ha le proprie colpe.
Bellocchio ben raffigura la genesi della tempesta perfetta. Moro è circondato da segnali in ogni dove, dalle scritte sui muri delle strade che percorre quotidianamente in auto agli onnipresenti slogan urlati nei cortei di piazza, fino alle incursioni di falsi studenti alle sue lezioni all’Università. Sono gli “Anni di Piombo”, quelli in cui il malcontento e la tensione sociale sfociano in una ribellione che diventa violenza multiforme.
La ricostruzione del gioco di corresponsabilità tra istituzioni e brigatisti rende evidente come i carnefici raramente indossino una sola casacca quando in gioco sono gli interessi di molti.
Bellocchio, al netto di qualche licenza poetica, ha grande lucidità nel descrivere quello che fu un vero attacco al cuore dello Stato. Tra trattative, fallimenti, depistaggi e certe teorie astruse, il tempo scorre scandito dalle lettere del rapito e dai comunicati dei brigatisti.
Se il coinvolgimento di Servillo, la cui bravura non si discute, pare non essere stata la scelta giusta (stavolta l’iconicità dell’attore inficia la credibilità del personaggio), la performance di Gifuni nei panni del riflessivo e pacato statista democristiano è invece qualcosa di memorabile.
L’interprete, che aveva già portato a teatro la lettura delle lettere scritte da Aldo Moro durante la prigionia, incarna lo sfortunato politico in maniera impressionante. Il tono placido eppure di straordinaria intensità con cui pronuncia parole misurate e piene di decoro, la voce così scrupolosamente simile e la presenza scenica enorme pur coniugata in piccoli gesti non hanno eguali se non, appunto, nel fu Moro. Anche quando non è fisicamente in scena, lo spettro del suo personaggio resta potente nel tormento emotivo di tanti.
La caratterizzazione meticolosa in "Esterno notte" non riguarda solo i personaggi ma anche il tessuto valoriale di anni in cui convivono una religiosità che ancora crede nel cilicio, una rabbia ideologica che non esita a farsi armata e sanguinaria e un’utopia politica destinata a restare vittima del proprio ottimismo. Sembra che nella via crucis di un uomo si rifletta quella di ogni forma di idealismo del tempo.
“Esterno notte” non è solo il solenne “De Profundis” di una persona, ma di un’epoca.
Bellocchio, offrendo una panoramica drammaturgica dell'Italia di ieri agli italiani di oggi, costringe a riflettere su un passato ancora vivo.
Prendere coscienza di come alcuni accadimenti siano stati e restino una questione morale oltre che istituzionale, è un atto di civiltà.La prima parte dell'opera è in sala, la seconda uscirà il 9 Giugno mentre l'insieme, in formato di mini-serie, andrà in onda in autunno sulla Rai.
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