S'intitola Sono tornato. È il nuovo film di Luca Miniero (regista di Benvenuti al Sud e Benvenuti al Nord) ed è la versione italiana del tedesco Lui è tornato, diretto nel 2015 da David Wnendt, basato sul romanzo di Timur Vermes. Lì, il «Lui» è Adolf Hitler. Qui da noi, a tornare, ovviamente è Benito Mussolini.
Il Duce è tornato, e tutti nel film parlano di lui: la gente per strada, le tv, Youtube. E tutti, da domani, parleranno di Lui è tornato, a partire dai giornalisti. Stefania Rocca, cinica conduttrice televisiva che trasforma il redivivo Mussolini in una star mediatica, alla fine del film, a chi le chiede se non si vergogna di avere speculato sui crimini del Regime, risponde: «Parlare di fascismo dopo settant'anni anni è fuori moda». Sapendo che è esattamente vero il contrario. Nel film i turisti (veri) fanno il saluto romano al passaggio del (falso) Duce.
È da mesi che non si parla d'altro che di monumenti fascisti da abbattere, del pericoloso ritorno strisciante del fascismo, di «razza», di vie a cui cambiare nome perché intestate a intellettuali compromessi col fascismo... La verità non è che Lui è tornato. È che non se n'è mai andato. Aleggia tra noi come un fantasma. Un'ossessione per molti, una nostalgia per altri. Nessuno di fronte al Duce, anche 70 anni dopo, resta indifferente.
E quando, nel film, Benito Mussolini - un Massimo Popolizio perfetto in tutto, nella mascella, nella voce, nella postura - cade magicamente dal cielo al centro del quartiere Esquilino, a Roma, scoprendo dalla prima pagina di Repubblica in edicola (titolo: «Sì al matrimonio tra gay») che è il 28 aprile 2017, il Paese non resta indifferente. Le masse, ancora una volta, ieri in piazza, oggi in tv, lo acclamano. Selfie, fez e carisma telecratico. «Il problema di questo Paese è la memoria». Ha ragione. Si dimentica tutto.
E così, in un'Italia in cui nessuno ricorda nulla, il redivivo Mussolini, scambiato per un attore comico, assieme a un ingenuo documentarista (un Frank Matano senza audacia e senza lode, ci sarebbero state altre spalle più adatte al ruolo) gira da Sud a Nord per capire quanto è cambiata l'Italia, e gli italiani. Risposta: nulla («Eravate un popolo di analfabeti. Dopo 70 anni torno e vi ritrovo un popolo di analfabeti»). E l'effetto è ancora peggiore. Il Duce, grazie a un popolare programma tv e qualche ospitata nei talk show (condotti dai veri Alessandro Cattelan e Enrico Mentana), in poco tempo riconquista il consenso. Cosa peraltro facile quando - è una delle tante battute senza tempo che punteggiano il film - «Il partito della confusione domina la scena politica del Paese».
Il film, sul fronte della commedia, funziona benissimo. È scritto bene, Popolizio è irresistibile senza essere caricaturale (la smorfia che mima un mancamento quando scopre che per andare a Palazzo Venezia deve prendere il bus a piazza Matteotti...), le battute sono perfette («Perché in Italia oggi qualcuno dovrebbe mettere al mondo figli, se la massima aspirazione è che diventino cuochi?», mormora dopo essersi imbattuto in dieci programmi di cucina su dieci canali televisivi diversi), tra riflessioni sull'oggi («Abbiamo paura di chiamare guerra di civiltà quella contro l'Islam, perché l'abbiamo già perduta prima di cominciare a combatterla») e ricordi di ieri (la commozione quando vede la foto di una bellissima Claretta Petacci su Wikipedia: «È morta per colpa mia»).
Il pubblico in sala riderà, qualcuno noterà la coincidenza dell'uscita nelle sale, dal 1° febbraio, nel mese caldo della campagna elettorale, e Alessandra Mussolini, che ha già visto il film, ha detto di essersi persino emozionata. Quello che convince meno, però, è l'approccio politico-morale di Lui è tornato. Mentre l'omologo film tedesco rimaneva - benissimo - nel surreale, quello italiano non rinuncia alla lezione (ogni Paese ha la storiografia cinematografia che si merita: l'Inghilterra L'ora più buia, noi Sono tornato). Nel sottofinale tocca a un'anziana ebrea riconoscere il vero Duce e ricordare il fascismo-Male assoluto. Rivelazione doverosa e impeccabile. Ma scontata, e smussata dall'innegabile empatia suscitata dal Mussolini-Popolizio.
Al quale ancora una volta il popolo italiano (quello falso nel film, ma anche una parte di quello vero) è pronto a perdonare le migliaia di abissini gasati in Africa Orientale e i rastrellamenti degli ebrei. Ma non - in tempi di buonismo politicamente corretto - l'uccisione di un cane. Peraltro inglese.
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