Un film contro il gas. Finanziato dai petrolieri

"Promised Land" attacca le trivellazioni Usa con i soldi di Abu Dhabi. Ecologismo o concorrenza?

Il film si chiama Promised Land, e in Italia dovrebbe arrivare il 14 febbraio. Ma questa «terra promessa» ha scatenato un vespaio di polemiche. Almeno negli Usa. La trama del film, che ha come protagonista Matt Damon (nella foto, il quale ha contribuito anche alla sceneggiatura) e come regista Gus Van Sant, in teoria, avrebbe dovuto vellicare l'ecologista un po' conservatore che si annida nel pubblico d'oltreoceano (e non solo). Eccola raccontata, in soldoni. Steve Butler (interpretato da Damon) è un agente di vendita di una grande compagnia, che si è trasformato da ragazzo di campagna a businessman brillante. La sua vita, però, prende una piega inaspettata quando arriva in una piccola città, McKinley, dove è stato mandato dall'azienda. La cittadina agricola è stata colpita duramente dalla crisi e l'esperto di vendita è convinto di avere gioco facile nel convincere gli abitanti ad accettare l'offerta della multinazionale, decisa a ottenere i diritti di trivellazione sui terreni della zona. Sui quali vogliono applicare la tecnica del fracking, ovvero la frantumazione idraulica che viene eseguita dentro le formazioni di roccia contenente idrocarburi, per aumentarne la produzione di petrolio e shale gas. Insomma una tecnica di recupero che consente di produrre petrolio alla faccia di chi possiede grandi giacimenti. Ma quello che sembrava un lavoro facile diventa ben presto un complicato groviglio per le resistenze della comunità. E, quando Dustin Noble, uno scaltro attivista ambientale, interviene, improvvisamente la posta in gioco sale al punto di ebollizione...

Insomma il tema avrebbe dovuto far presa. Tanto più che il fracking è una pratica che davvero qualche problema ecologico lo pone. Fornisce gas a basso costo, ma immettendo enormi quantitativi di acqua in rocce friabili porta con sé il rischio di microsismi (rarissimi) o di contaminazione della falda idrica.

Qualche compagnia petrolifera americana si è seccata. Il che era prevedibile. Era meno immaginabile che svariati siti e poi i grandi media come la CBNBC, si accorgessero che a contribuire alla produzione è stata anche la «Image Media Abu Dhabi», una sussidiaria della Abu Dhabi Media. Insomma i soldi per produrre un film contro il fracking arrivano anche da una nazione dell'Opec che per la sua enorme produzione di petrolio vede la produzione di idrocarburi negli Usa come concorrenza... Conflitto di interessi? Certo il cinema è un'arma potente... Tra l'altro il tema è dibattuto anche in Italia. E ci sono già state delle interrogazioni alla Commissione Europea.

La presenza araba sarà anche un caso - e per carità legata a questioni di puro business dello spettacolo - ma il film svilupperà qualche riflessione anche nel pubblico italiano. Che poi andrà a casa con, nel serbatoio, una benzina che magari arriva dal Medioriente.

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