"Wonder Woman" non è solo il migliore tra i film di supereroi prodotti fino ad oggi dall'Universo Cinematografico DC, (del resto i precedenti non brillavano per qualità), ma è un invito a riscoprire le caratteristiche divine del Femminile attraverso un personaggio credibile e potente.
La Principessa Diana (Gal Gadot) cresce sulla segreta isola di Themyscira nel regno delle Amazzoni, popolo di donne guerriere che la protegge e la addestra al combattimento. Il suo destino si compie quando Steve Trevor (Chris Pine), una spia americana in servizio durante la Prima Guerra Mondiale, precipita col suo aereo su quelle coste. Diana ne ascolta i racconti e decide di seguirlo nel mondo esterno, convinta di poter porre fine al conflitto bellico sconfiggendo quello che ne ritiene il responsabile, il malvagio dio Ares.
Dopo un prologo dalle atmosfere fiabesche, dedicato alle origini del mito, l'azione si sposta in una grigia e fumosa Londra. Il peplum diventa quindi un war movie dalle sfumature romantiche.
Patty Jenkins, già regista di "Monster" nel 2003, dirige la splendida e magnetica Gal Gadot in un'opera di certo lontana dalla perfezione, penalizzata dall'estrema semplicità della trama e dalla presenza di antagonisti monodimensionali, di dialoghi poco ispirati e di una computer grafica mediocre. Eppure si sorvola abbastanza facilmente su tutti questi difetti grazie al carisma di una protagonista in grado di emanare grazia, forza e innocenza, conquistando lo spettatore alla sua causa e alla sua visione dell'esistenza.
Il fascino ipnotico di Wonder Woman (che però nel film non viene mai chiamata così) sta tutto nella meraviglia che si legge nei suoi occhi. Vergine del mondo, armata di un cuore gentile e appassionato, nel suo viaggio Diana conoscerà il lato feroce dell'uomo e questo la condurrà a perdere l'innocenza. Ma nel tragitto il pubblico, attraverso il punto di vista puro e incontaminato di lei, avrà riscoperto l'orrore nauseabondo di atrocità cui si è assuefatto da troppo tempo. Grazie all'immedesimazione, infatti, il messaggio antibellico del film è dirompente.
"Wonder Woman" non è quindi solo il racconto di formazione di un'eroina ma una rieducazione sentimentale dello spettatore: gli ideali e la speranza di questa creatura, la volontà e la determinazione con cui difende quello in cui crede, fanno innamorare della vita, luci e ombre comprese.
Interessante anche la riflessione circa la natura del male, laddove ci si interroga se origini da un principio astratto, d'ascendenza ultraterrena, o alberghi nelle profondità dell'essere umano.
Gal Gadot è regale e semplice allo stesso tempo, indossa la propria magnificenza estetica con naturalezza e noncuranza proprio come farebbe una creatura divina per nascita.
L'attrice sa prestarsi al registro comico, nei siparietti legati al continuo stupirsi di Diana, commuove per il modo in cui rende palpabile il suo candore, ed è convincente nel ricordarci che il femminile diventa guerriero sempre per difendere ciò che ama (e quindi per ragioni molto diverse da quelle maschili).
Vedere nel personaggio un'icona d’emancipazione femminile è corretto ma anche riduttivo, perché Diana è un modello positivo, quanto a forza e indipendenza, per chiunque.
Il suo animo puro e sognante, testardamente ingenuo, incapace di restare indifferente di fronte ai soprusi, è espressione di un idealismo alieno più che demodé. Eppure è proprio l'effetto straniante che si percepisce di fronte a tanta assenza di malizia e possente purezza morale che rivela quanto ci sia bisogno di confrontarsi con questo tipo di bellezza.
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