Barnes, il giornalista che trovava il fascismo affascinante e "british"

Frequentò a lungo Mussolini e cercò di dimostrare che fascismo e cattolicesimo erano conciliabili. Inglese ma con l'accento toscano fu l'uomo che cercò di rendere il Duce "da esportazione"

Barnes, il giornalista che trovava il fascismo affascinante e "british"

Mussolini lo incontrò per la prima volta nel 1924 dopo il delitto Matteotti all'epoca della secessione aventiniana in occasione di un banchetto offerto ai giornalisti stranieri. Stringendo loro la mano, uno ad uno, prima di sedersi per il pranzo, fu sorpreso dalla voce di un giovane che lo apostrofò dicendogli: «Buongiorno Eccellenza» in un italiano privo di inflessioni straniere e caratterizzato invece da uno spiccato accento toscano. Incuriosito, gli chiese se fosse italiano e per quali testate lavorasse. Il giovane, comprensibilmente inorgoglito per l'attenzione del Capo del governo, rispose di essere un inglese, di rappresentare il Financial Times e di essere stato educato in Italia, a Firenze.

Quel giornalista poco più che trentenne, dall'aspetto spavaldo ed esuberante, che in seguito il grande diplomatico britannico Harold Nicolson avrebbe definito un personaggio stendhaliano, si chiamava James Strachey Barnes (1890-1955) e sarebbe diventato poi, fascista convinto, uno dei teorici dell'«universalità» del fascismo e uno dei protagonisti delle iniziative per la promozione delle idee fasciste all'estero.

Quello del 1924 fu il primo di una serie di colloqui che Barnes ebbe con il Duce e che costituiscono la prima parte del volume Io amo l'Italia. Memorie di un giornalista inglese e fascista (Oaks editrice, pagg. X-354, euro 28) apparso originariamente in Italia nel 1939 e riproposto da Luca Gallesi il quale vi ha premesso una bella introduzione che richiama l'attenzione su un personaggio emblematico di una certa intellettualità inglese, in gran parte convertita al cattolicesimo, sensibile a quello che uno storico britannico contemporaneo, Alastair Hamilton, ha definito The Appeal of Fascism. Che Mussolini nutrisse simpatia per Barnes lo dimostrano non soltanto questi colloqui svoltisi fra il 1924 e il 1936, ma anche la ricca (e in gran parte inesplorata) documentazione conservata nell'Archivio Centrale dello Stato e, soprattutto, il fatto che egli volle scrivere una premessa tutt'altro che di occasione al volume su Gli aspetti universali del fascismo del 1928. Il Duce, abbandonando l'idea che il fascismo non fosse «merce d'esportazione», faceva notare in quella prefazione come Barnes fosse riuscito a identificarne e illustrarne «gli aspetti universali» e precisava: «Questi aspetti esistono. Il fascismo è fenomeno prettamente italiano nella sua estrinsecazione storica, ma i suoi postulati dottrinari sono di carattere universale. Il fascismo pone e risolve dei problemi che sono comuni a molti popoli, e precisamente a tutti i popoli che hanno vissuto e sono stanchi dei regimi demoliberali e delle menzogne convenzionali annesse». Per la verità lo scrittore inglese aveva chiesto a Mussolini di leggere le bozze del libro che si proponeva di sostenere l'esistenza di «aspetti universali» del fascismo e di mostrare come questo non fosse incompatibile con il cattolicesimo. Evidentemente Mussolini, alla vigilia dei Patti Lateranensi, dovette ritenere utili e funzionali ai suoi disegni politici le posizioni di Barnes tanto che si offrì come prefatore del volume.

Barnes si era convertito al cattolicesimo nel 1914 entrando a far parte di una schiera di intellettuali cattolici che avrebbe annoverato scrittori illustri come Hilaire Belloc e Gilbert Keith Chesterton, il poeta Thomas Stearns Eliot ed Evelin Waugh, lo storico Christopher Dawson e via dicendo. Rampollo di una nobile famiglia inglese, era nato in India dove il padre era amministratore coloniale, ma, rimasto orfano di madre a due anni, era stato affidato ai nonni materni che vivevano in Toscana e si era subito inamorato dell'Italia. Rientrato in Inghilterra per compiere, come tanti giovani aristocratici o di buona famiglia, gli studi classici in una ottica liberale e in vista della carriera diplomatica, si era laureato a Cambridge, aveva preso parte alla Grande guerra come ufficiale di aviazione e, all'indomani del conflitto, aveva cominciato a lavorare nel Foreign Office. Conobbe e frequentò grandi personaggi dell'epoca, da Bertrand Russell a John Maynard Keynes, da Henry James a Gabriele D'Annunzio. Fu delegato britannico alla Conferenza della pace di Parigi dove entrò in contatto con Woodrow Wilson, Lloyd George, A. J. Balfour e T. E. Lawrence. Tuttavia l'amore e la nostalgia per il Bel Paese lo spinsero nel 1919 a tornare in Italia dove, praticamente, si stabilì lavorando come corrispondente ed inviato per giornali, riviste e agenzie di stampa inglesi.

Il suo cattolicesimo era profondamente ortodosso: come osserva Gallesi, egli vedeva nella Chiesa cattolica un baluardo contro «gli errori della modernità» e si ricollegava a un «ricco filone inglese di critica all'industrialismo» secondo una direttrice che, partendo da William Blake, giungeva fino a William Morris passando per Thomas Carlyle, John Ruskin e i Preraffaelliti.

Del fascismo fu sostenitore dagli inizi. Oltre al ricordato volume su Gli aspetti universali del fascismo, scrisse un saggio dal titolo Fascism (1931) rivolto soprattutto al pubblico inglese. Non è un caso che fra i suoi estimatori vi fosse Thomas Stearns Eliot, il grande poeta simpatizzante di Maurras e delle tesi dell'Action Française, il quale ne recensì benevolmente i lavori sulla rivista The Criterion. La visione che Barnes aveva del fascismo era quella di un movimento politico che esprimeva una «rivolta contro il pensiero materialista e individualista degli ultimi secoli» e auspicava un sistema politico fondato sulla difesa di valori e istituti tradizionali, sullo spirito di solidarietà sociale, sulla meritocrazia. La stima e l'amicizia di Mussolini gli valsero la nomina, su suggerimento del diplomatico Luigi Villari, a segretario generale del Centre Internazional d'Études sur le Fascisme (CINEF), un organismo con sede a Ginevra finanziato dall'Istituto Fascista di Cultura con il compito di catalogare qualunque testo venisse scritto in tutto il mondo sul fascismo: una iniziativa in linea con l'abbandono da parte del Duce dell'idea della non esportabilità del fascismo fuori dei confini nazionali.

Quando Mussolini decise di conquistare l'Abissinia, Barnes, ancora cittadino inglese, fu inviato come corrispondente di guerra, ma le sue cronache vennero considerate troppo filofasciste dai connazionali. Vale la pena di rammentare, per inciso, che simpatia per la causa italiana fu, all'epoca, manifestata da un altro illustre corrispondente di guerra, lo scrittore Evelin Waugh. Come racconta in questo libro di memorie che contiene fra l'altro pagine positive sul generale Rodolfo Graziani e troppo minimizzanti sull'uso dei gas da parte italiana Barnes ebbe occasione di rivedere Marinetti conosciuto nel 1918 sul fronte italiano. Lo trovò ancora, malgrado la nomina ad accademico d'Italia, «giovane di spirito e bollente di entusiasmi come sempre». E rimase colpito dalla definizione che il poeta gli dette dell'impresa Africana: «Questa è una guerra futurista in un Paese futurista. Le strade sono costruite davanti e non solo dietro gli eserciti avanzanti; gli abitanti si uniscono agli invasori invece di fuggirli; I fiumi hanno più acqua man mano che ci si avvicina alle fonti; I soldati cantano canzoni d'amore alle donne del nemico. E guardi il paesaggio! Ci può essere nulla di più futurista? Dio fu un artista futurista quando fece l'Abissinia».

Durante la Seconda guerra mondiale, Barnes collaborò con la radio italiana per contrastare la propaganda di Radio Londra, aderì alla Repubblica Sociale ed ebbe ancora incontri con Mussolini: l'ultimo il 10 aprile 1945.

Gli inglesi lo bollarono come traditore, lo inserirono nella lista di collaborazionisti e spie e gli dettero la caccia. Solo con l'inizio della Guerra Fredda persero interesse alla sua figura ed egli, ottenuta finalmente la tanto agognata cittadinanza italiana, potè finalmente riapparire in pubblico e stabilirsi definitivamente a Roma.

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