Alla domanda se è possibile separare parti dell'opera di un autore quale prodotto autonomo, ricco di un suo peculiare contenuto, risponde in modo positivo il libro di García Lorca Il sole dell'Andalusia, a cura di Matteo Lefèvre (Garzanti, pagg. 92, euro 4,90), che propone una raccolta di prose e alcune liriche del poeta granadino dedicate alla città e ai suoi giardini, tratte dal libro Impresiones y paisajes (1918). Opera di esordio del giovane autore, segna una svolta nella sua carriera artistica, fino allora orientata verso la musica, in particolare allo studio del pianoforte, di cui Federico diventa appassionato interprete del repertorio di opere classiche e popolari; quest'ultime legate alle canzoni del folclore gitano, espressioni genuine dell'anima andalusa che Lorca condivide con il maestro e amico Manuel de Falla con cui celebra nel 1922 la prima Fiesta del cante jondo, nell'incomparabile scenario dell'Alhambra, fortezza e sede della raffinata cultura musulmana. Il libro è il risultato di una gita culturale organizzata dal professore di estetica nei luoghi più significativi dell'arte spagnola: sono prose poetiche, alcune già anticipate nei periodici dell'epoca, che superano i limiti dell'esercizio letterario e rivelano un mondo interiore attraverso il ricorso a simboli e traslati che costituiscono una sedimentazione di sentimenti nascosti; i quali, come lo stesso Federico confessa nel Prologo, traducono «una certa indeterminatezza e malinconia».
Indubbiamente Impresiones y paisajes mostra una certa fragilità strutturale, ma la serie dedicata a Granada e ai suoi giardini, a cui attinge la raccolta di Garzanti, supera i tratti impressionistici della visione paesaggistica con forme più vicine all'espressionismo che vedremo affermarsi più avanti, per esempio nel libro della maturità Poeta en Nueva York. Lorca descrive il concerto di campane della cattedrale a cui rispondono i campanili dell'Albayzín, il quartiere popolare arabo, creando un contrappunto armonioso, ma molti suoni di bronzo traducono un ansimare di desideri simile a un rauco singhiozzo. Nello scenario d'oro del crepuscolo granadino domina, insieme alla tavolozza dei colori, la nota musicale, mentre in alcuni momenti affiora il pensiero del fluire del tempo che il poeta traduce in un movimento plastico; alla nota impressionistica si alterna la riflessione interiore che salda immagini esterne con momenti intimistici diversi.
La lirica San Miguel Granada chiude la raccolta e anticipa il trittico degli angeli, che ritroviamo elaborato nei versi del Romancero gitano e appartiene alla straordinaria iconografia religiosa lorchiana pronta a cogliere la nota pagana e irriverente della devozione popolare. La figura dell'arcangelo Michele appare dai vetri della sua nicchia «di tremila notti Efebo, / odoroso di colonia», immagine che pare ritagliata da una deliziosa miniatura araba.
Anni dopo, nella conferenza Granada, paradiso chiuso a molti...
, Lorca dedicherà pagine indimenticabili alla sua città, capitale del regno musulmano, crogiolo e sintesi di varie razze e religioni: «Granada dichiara è una città d'ozio, una città fatta per la contemplazione e la fantasia, una città dove l'innamorato scrive meglio che in qualsiasi altra parte il nome del suo amore per terra».
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