Mohammed Al Saaed, l'analista politico del giornale saudita Okaz scrive il 30 novembre «come si può condannare l'uccisione di un uomo che ha dedicato la sua vita a costruire una sinistra bomba atomica per un regime malvagio, mentre non condannano l'uccisione di tanti innocenti nella regione. L'Iran uccide Siriani, Iracheni, Libanesi, ha distrutto lo Yemen, e sponsorizza gruppi terroristici...». A cui, aggiungiamo noi, l'Iran uccide americani, francesi cittadini di ogni origine, colore, credo... e programma il genocidio in un intero Paese che «verrà cancellato dalla faccia del mondo», Israele.
L'uomo di cui qui si parla è Moshen Fakhrizadeh. È stato definito scienziato, fisico, professore universitario. Ma non c'è nulla che rappresenti meglio delle reazioni pietistiche di questi giorni all' eliminazione di Fakhrizadeh la confusione e l'ignoranza sul regime degli Ayatollah e sui suoi molteplici significati. In realtà le condoglianze, se si da ai dolenti il beneficio di inventario, sono suonate più che altro come una nota di amaro biasimo nei confronti di Israele. È stata un'occasione irresistibile per mostrare i propri colori, per dare di gomito al regime più feroce del mondo che perseguita, soprattutto, i propri cittadini soggiogati e perseguitati dalle Guardie della Rivoluzione degli Ayatollah. Ma le lacrime sullo «scienziato nucleare» Moshen Fakhrizadeh sono lontane dalla comprensione di quel che Fakhrizadeh rappresentava per la guerra iraniana.
Il punto di vista umanitario, tipico della nostra cultura, non funziona quando si parla di un generale in guerra, e qui di questo si tratta: di un altissimo ufficiale, responsabile del programma fondamentale per uno scontro in atto nel presente. Fakhrizadeh, infatti, non era uno in primis scienziato o professore universitario, ma un generale della Guardia Rivoluzionaria che, mentre insegnava fisica all'Università delle Guardia Imam Hussein, aveva un ruolo strategico nel maggiore fra i disegni di conquista di uno Stato islamico mondiale, da compiersi per passi successivi, in cui l'atomica è fondamentale. E Fakhrizadeh era il padre della bomba da quando, nel 1998, era stato messo alla testa del programma nucleare, col ruolo di capo del PHRC, il centro di ricerche per lo sviluppo nucleare.
La determinazione di Fakhrizadeh a raggiungere la bomba si articola in mille invenzioni e cambiamenti di strada. La maggioranza degli sciiti appartiene all corrente dei duodecimani: crede alla sequenza dei dodici imam succeduti a Mometto. Il dodicesimo, Muhammad ibn Hossein al Mahdi, nato nell'869, è sparito a 72 anni e dal suo divino nascondimento ma prepara il suo ritorno e il giorno del giuzio. Dal '79, momento della rivoluzione khomeinista, esso diventa, per l'Iran, imminente. La guida degli imam verso l'obiettivo è variamente interpretata, ma sicura, e nella battaglia è fatale l'uso della Taqiyya, ovvero la dissimulazione per il bene supremo della comunità, consente di procedere verso l'obbiettivo con bugie e mosse diplomatiche mentre prosegue lo scontro col mondo degli infedeli e dei traditori della fede. Il così detto Mahdismo è molto rilevante nella leadership odierna, gli sciiti, che hanno molto sofferto la loro condizione di minoranza islamica, pensano che coll'avvento del Profeta le sofferenze avranno fine. E come Ahmadinejad e anche Khamenei hanno ripetuto, per il ritorno del Mahdi occorre una conflagrazione universale. Che quindi non è temuta, ma auspicata: il grande momento del mahdismo è stato quello di Ahmadinejad. Ma anche se c'è chi lo ritiene più immediato e chi meno, gran parte della leadership civile e militare è comunque fedele o vicina a questa ideologia compreso il moderato Rouhani.
La bomba atomica, la distruzione di Israele, le ossessive minacce all'Occidente, la violenza con cui il regime reprime il comportamento indipendente, sia nel campo delle opinioni che il quello personale (basta pensare all'oppressione delle donne e dei gay, fino alla condanna a morte), la spesa enorme che si carica per finanziare gli Hezbollah, Hamas, gli attentati terroristici che ne fanno il primo Stato terrorista, il mantenimento di milizie come i Basiji e Quds, tutti addestrati, feroci, pronti a colpire... sono tutti segnali dell'esistenza di uno stato di guerra continua, la guerra messianica che invoca la rivoluzione mondiale.
Un saggio scritto per l'ASMEA da Norvell B. De Atkine, Historical considerations in understanding Iran's Military and their way of war, traccia il rapporto fra la guerra iraniana odierna e quella dei secoli trascorsi. De Atkine cita fra i molti testi History of Warfare di John Keegan che dipinge le guerre persiane contro i greci come «evasive, indirette, molto astute psicologicamente e nell'uso delle informazioni segrete», mentre Kaveh Farook con Ombre nel deserto spiega che i persiani ottenevano la distruzioine del nemico con l'uso dei loro arceri, da lontano, prima di dover entrare in un copro a corpo. Potevano «oscurare il sole» con una nuvola di frecce che piovevano dall'alto.
Bravi e coraggiosi combattenti, tuttavia, come dice Erodoto, avevano metodi di combattimento di cui il saggio sostiene la permanenza; così anche un intenso senso di identità di fronte alle ripetute invasioni occidentali e orientali, dagli arabi agli inglesi; si loda, nel saggio, la capacità persiana di raffinata immaginazione, di uso della diplomazia e delle informazioni, e anche la superba capacità di lanciare immense folle nella lotta. Oggi basta pensare alle folle difronte a Khamenei che gridano «morte all'America», dimostrando una incredibile hubris e fiducia in sè stesse e nella propria fede. Per capire Tom Holland nel suo The Persian Fire, sempre citato da De Atkine: «se si guarda a come i Persiani vedono sè stessi, nessun popolo ha una maggior fiducia nella propria virtù».
Virtù di guerrieri e conquistatori, iscritta nel loro carattere nazionale e nell'evidente ambizione delle elite, dalla loro convinzione che il loro ruolo nel mondo è sottostimato e non riconosciuto per ciò che vale.
Recentemente poi l'amara esperienza della guerra con l'Iraq ha insegnato a cercare di vincere i conflitti evitando la perdita umana ed economica di uno scontro diretto, ha esaltata l'uso antico di gruppi locali proxy come gli Hezbollah o Hamas, la raffinato l'uso del sorriso diplomatico alla Zarif. Tutto questo rientra nella tecnica di una guerra in corso, oggi, ma guerreggiata in stile diverso. Una guerra in cui Fakhrizadeh era un generale combattente.
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