"The Happy Prince", l'amara fine di Oscar Wilde

Rupert Everett ricostruisce la tragedia di un genio condannato all'onta, allo squallore e all'autodistruzione a causa di scelte troppo sovversive per la sua epoca

"The Happy Prince", l'amara fine di Oscar Wilde

Rupert Everett è sceneggiatore, protagonista e regista del film "The Happy Prince", che racconta l'ultimo atto dell'esistenza di Oscar Wilde. L'attore esordisce dietro la macchina da presa alla soglia dei sessant'anni dopo aver più volte recitato, a teatro e al cinema, nelle opere di Oscar Wilde e aver accarezzato il progetto di questo lungometraggio per un decennio.
"The Happy Prince" racconta gli anni più cupi e meno prolifici di un artista passato dalla fama all'infamia, dal lusso alla povertà e disposto, per temperamento, a sacrificare qualsiasi cosa pur di inseguire l'amore.
La celebre e bellissima fiaba che dà il titolo al film fa da cornice narrativa a quello che si presenta quasi come un sogno, vivido e delirante, in cui affiorano momenti emotivamente salienti della vita privata di Wilde (Rupert Everett). Dopo essere stato condannato a due anni di lavori forzati nel carcere di Reading per il reato di omosessualità, il grande scrittore torna libero e si reca in Francia, in un esilio forzato. E' un uomo che ha perduto tutto, tranne l'affetto del fedele Robbie Ross (Edwin Thomas) e l'amicizia di Reggie Turner (Colin Firth). Quando, però, incontra di nuovo l'uomo per cui è stato incriminato, Lord Alfred Douglas, detto Bosie (Colin Morgan), ricomincia a esserne l'amante. I due fuggono a Napoli, luogo in cui non si fanno mancare momenti di piacere e dissolutezza, ma il rapporto giunge a un'amara conclusione quando il denaro finisce. Tormentato dal rimorso nei confronti della moglie Constance (Emily Watson) e dei figli avuti con lei, Wilde trascorre l'ultima stagione della sua vita in completa povertà e in balia di vizi autodistruttivi. Morirà a Parigi, circondato dalla dedizione dei due amici di sempre.
La parabola discendente di un artista un tempo idolatrato dal grande pubblico ha le sembianze di una processione funebre verso il sudario. Sebbene non manchino parentesi orgiastiche, è ben presente la natura quasi cristologica del percorso punitivo e d'isolamento cui Wilde è condannato anche una volta fuori dal carcere.
La regia è ricercata, l'atmosfera torbida e le inquadrature sugli interni decadenti sembrano uscite da dipinti di Toulouse-Lautrec. Everett mette in scena anche il suo amore per l'estetica di Visconti e, in particolare, il personaggio di Bosie, il giovane amante viziato e vizioso di Wilde, ricorda fisicamente Tadzio di "Morte a Venezia".
Per quanto ambizioso e accurato, il film sembra mancare di una struttura definita: la stessa fiaba del titolo, pur facendo da fil-rouge all'intera narrazione, si presenta frammentata in modo un po' caotico.


"The Happy Prince - L'ultimo ritratto di Oscar Wilde" è un'opera molto personale, che trasuda amore e comprensione per le difficoltà incontrate da un genio riabilitato ufficialmente solo nel 2017. Everett, del resto, sente vicina e di conforto la figura di Wilde, avendo pagato il proprio coming-out con una brusca frenata alla carriera.

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