Presentato fuori competizione a Venezia77, "The Human Voice", il cortometraggio del regista spagnolo Pedro Almodovar con protagonista assoluta Tilda Swinton, è un piccolo gioiello.
L'attrice, Leone d'Oro alla carriera proprio durante il gala di apertura di questa edizione, si misura con un testo liberamente tratto dalla pièce di Jean Cocteau che ad Almodovar aveva già ispirato “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”.
Prima direzione in lingua inglese per il regista e debutto di una collaborazione artistica, quella con l'attrice scozzese, che avrà sicuramente un seguito.
L'adattamento di Cocteau realizzato da Almodovar contiene intere parti riscritte al fine di renderne il significato più contemporaneo e il risultato è un melodramma spassoso, oltre che lo specchio (seppur deformante) in cui chiunque abbia conosciuto il delirio amoroso potrà vedersi riflesso.
"The Human Voice" ha inizio con la Swinton in total-look indaco, occhiali da diva e una shopping Chanel al braccio abbastanza capiente da nascondervi l'acquisto (senza scontrino) di un'ascia. Una volta rientrata a casa, la vediamo compiere una serie di intemperanze come quella di fare a pezzi un vestito sul letto, mettere la testa sotto la doccia da vestita e ingerire un cocktail di farmaci. Finché la telefonata di cui ha sospirato l'arrivo per tre lunghi giorni squarcia finalmente quella solitudine autolesionista.
Al cellulare, dall'altra parte, capiamo che c'è l'uomo che il personaggio ha amato negli ultimi quattro anni. Nel monologo che segue, lei sa di trovarsi di fronte ad un addio e che si tratta di decidere se conservare un brandello di dignità o lasciarsi andare a un pietire lacrimoso e a tratti ricattatorio. Come si confà a una creatura tipicamente almodovariana, la donna non si risparmia ed esplora l'intera gamma di possibilità: passa quindi dallo snobismo distaccato di chi millanta una ricca vita sociale alla piena confessione di essere un crogiuolo di tutte le nevrosi del mondo.
In un flusso di coscienza arginato solo in parte dalla persona che immaginiamo risponderle, l'abbandonata si abbandona a sua volta. A cosa? Alla disperazione sconclusionata, al riepilogo della storia vissuta, alle maschere di circostanza pronte a essere misconosciute appena qualche frase più tardi.
Ammette tutto. Di aver temuto di fare del male, di essere un mix di pazzia e malinconia, di sentirsi una rovina e uno straccio. E' stata "speciale" solo accanto a lui e a questo proposito descrive la versione migliore di sé come "coraggiosa, remissiva, magra". Magnifica l'altissimo prezzo pagato per l'ebbrezza amorosa e non c'è umiliazione, rischio e sofferenza di cui si penta.
Insomma, è da buttare. Crede siano le regole del gioco e del desiderio e quando parla del cane che lui le ha lasciato, oramai destinato all'infelicità, il sospetto è che alluda a sé.
In "The Human Voice", oltre che alla maestà recitativa della Swinton, un plauso va al divertente uso narrativo degli abiti. Smessa la divisa monocolore d'ordinanza, pronta a un gesto rivoluzionario, la nostra beniamina nel finale si veste infatti patchwork, indossando un giubbino da dura, un pantalone clownesco e una camicia elegante. Come a dire: sono tutte le donne e lo sono in maniera disordinata, mi serve esprimere la confusione che ho dentro e voglio poter essere ancora chiunque deciderò di essere una volta varcata quella soglia. (Se una donna sfoggia un dettaglio eccentrico, forse non si tratta di una caduta di stile, ma di uno sprazzo di anarchia in grado di salvarle la vita).
Aperta
una visuale sul cielo, dirà "sto benissimo" a chi la vede uscire dal flambé del proprio passato. "Da oggi sarò la tua padrona, ti dovrai adattare" dice al cane. Ora sappiamo per certo che quando parla di lui lo fa di sé.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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