Ha ancora senso interrogarsi sul ruolo dell'etica in una società retta dall'utilitarismo, che confonde l'eccellenza personale con la redditività e il comportamento giusto con quello vantaggioso? E perché c'è bisogno della morale? Sono domande a cui cerca di rispondere, col suo consueto stile, Alain de Benoist nel suo Minima moralia. Per un'etica delle virtù (Bietti, p. 135, in uscita all'inizio della settimana prossima) cercando di confutare la validità di taluni principi primi e, al contempo, di dimostrare alla maniera di Schopenhauer che «predicare la morale è facile, fondare la morale è difficile».
Uscito sulla rivista Krisis negli anni novanta, questo lavoro, che compare ora in traduzione italiana, rappresenta un crinale decisivo della sua speculazione filosofica. Pur riprendendo tesi sulle quali era più volte ritornato negli anni Settanta e Ottanta, segna infatti l'inizio di un nuovo interrogarsi su questioni fondamentali del nostro essere-al-mondo e sul problema etico.
La conclusione dello studioso francese è che l'apprendere la morale può cominciare solo da cose semplici quali il «mantenersi eretti, guardare davanti a sé, mostrare coraggio nelle avversità, praticare la generosità, non considerare prioritario il proprio interesse, possedere la cognizione dello stile, eccetera». Elementi che, come si vede, hanno più attinenza con l'educazione che con visioni generali e universaliste le quali non raramente scadono in lagne moralistiche e in crociate politicamente corrette.
Per de Benoist la questione è più semplice di quanto appaia. Nessuno si comporta moralmente perché diventato kantiano o perché la morale viene considerata fondata (da Dio o dalla Ragione), ma agisce in un certo modo perché responsabilità etiche e valore della virtù non sono del tutto dissolte. È naturaliter morale la resistenza dello sportivo, l'integrità intellettuale del pensatore, la generosità di colui che dona, il coraggio dell'eroe. Al contrario, i codici morali fanno invece la loro comparsa proprio nei popoli non morali. Cosicché quando paradossalmente ci troviamo di fronte a imperativi categorici significa che stiamo vivendo in un'epoca meno morale del passato. Ecco perché si dice convinto che noi vivremmo in un tempo moralistico (e non morale) dove «l'ordine collettivo non sarebbe niente altro che la risultante di un egoismo condiviso». Dominato dai tipi umani dell'Homo oeconomicus e dell'Homo vacuus, atomi di una comunità che vive dei dogmi statuiti dalla religione dei diritti dell'uomo e dalla convinzione di vivere nel migliore dei mondi possibili. Un tempo signoreggiato da una morale minimalista che, appunto, sotto la maschera della morale ci fa assistere a un ritorno al massimo grado del moralismo.
Una volta fallite le utopie le rivoluzioni del novecento, ci è stato imposto un finto riformismo fondato su ideologie universaliste. Fare il bene è diventato obiettivo politico primario che non raramente ha assunto (e assume) il radicalismo di certi precetti religiosi. Ma quella tra moralismo e morale è una contiguità scellerata soprattutto quando coinvolge la politica. È, infatti, la Storia a dirci che la politica degenera e si corrompe quando si confonde con la morale. E più essa si appoggia alla morale minimalista che degrada in moralismo più significa che sta cercando un minimo di rispettabilità per un'azione che, in realtà, sarebbe disapprovata. Perché il fine morale non attiene alla missione della politica ma solo ai suoi strumenti. Questo non significa che l'azione politica debba prevedere l'assenza di ogni valore morale ma solo avere un ethos proprio, che concerne sempre la tanto decantata ricerca del bene comune, come da più di cinquecento anni ci ricorda l'inascoltato Machiavelli.
In politica può dunque esservi la morale, ma non possiamo avere una politica morale. Quando ciò è avvenuto le conseguenze sono state devastanti. Innanzitutto perché si è trasfigurato l'avversario incarnandolo nel male e nel nemico assoluto e poi perché la morale diventando un valore quotato è sottoposta come ai valori di Borsa a speculazioni di vario tipo.
Tale degenerazione, dietro la buona coscienza, ha così alimentato l'ipocrisia e lo smarrimento delle virtù riducendo all'osso quelli che, per de Benoist, sono e devono restare le stelle polari, e cioè l'educazione e l'etica areteica, o dell'eccellenza, che si palesano «nell'agire eticamente, nel sentirsi vincolati a pratiche reali e non a principi astratti, cogliendosi quali membri di un destino accomunante».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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