da Londra
Scoprirsi famosa e adulata, come una rockstar, sulla soglia degli 80 anni. È il destino di Margaret Atwood, che non si scompone di fronte all'attesa planetaria per il sequel de Il racconto dell'Ancella. Un successo mondiale da cui è stata tratta l'omonima fortunata serie televisiva, giunta alla terza stagione. «Ma ammetto di non aver visto una sola puntata. Lo farò non appena avrò abbastanza tempo. Mantengo il diritto di controllo sulla sceneggiatura, ma poi gli autori hanno la massima libertà», la confessione della scrittrice. Ieri fuori dalle librerie di Londra si sono formate lunghe code notturne, centinaia di devoti in attesa per assicurarsi una copia de I testamenti (in Italia è pubblicato da Ponte alle Grazie). L'annunciato sequel, che torna a raccontare - a distanza di 34 anni - gli orrori e le crudeltà del regime di Gilead. L'incubo distopico racchiuso in un regime teocratico che ha catturato decine di milioni di lettori. «Un simile successo è un pericolo solo se hai 30 anni, perché ti inebria e ti confonde. Ma alla mia età la risposta è scontata», si schermisce la scrittrice canadese, in occasione della presentazione mondiale. Durante la quale ha rivelato di essere stata il bersaglio di ripetuti attacchi informatici durante la stesura. «Qualcuno ha cercato di rubare le bozze dal mio computer. Non una, ma numerose volte. Ho dovuto chiedere l'aiuto dei tecnici informatici per alzare il livello di sicurezza, oltre a cambiare in continuazione le password. Mi sono sentita vulnerabile: avrebbero potuto ricattarmi per chiedermi soldi, oppure diffondere virus in rete attraverso il libro».
Sventato il cyber-attacco, mille copie del nuovo romanzo sono state distribuite da Amazon, per sbaglio, nei giorni scorsi, in anticipo sull'uscita mondiale. «Ma si è trattato di un errore, e si sono persino scusati. Penso che sia la prima volta in assoluto che Amazon abbia chiesto scusa per qualcosa», scherza Atwood, che ha impiegato quasi due anni per ricreare l'oppressiva repubblica di Gilead, il tetro e metaforico futuro che attende(rebbe) gli Stati Uniti, dove le donne vengono private di qualsiasi diritto e ridotte a schiave sessuali. «Per anni e anni mi era stato chiesto di riprendere in mano quel romanzo per scriverne un seguito. Una richiesta che per me ha sempre e solo significato una cosa: continuare la storia di Difred (la protagonista del primo libro, ndr) e rivelare cosa le è capitato. Ma non avrei mai potuto ricreare quella voce, sarebbe stato un tentativo inutilmente goffo». Ancora una volta, però, è stata la realtà a sollevare una nuova urgenza, ispirando la scrittrice canadese, orgogliosa che il suo romanzo sia diventato un manifesto femminista. «La principale fonte di ispirazione è il mondo in cui viviamo oggi. Ho sempre pensato, e soprattutto sperato, che ci saremmo allontanati da un mondo orribile come Gilead. Purtroppo nell'ultimo decennio constato che molte nazioni vi si sono avvicinate».
I testamenti è ambientato 15 anni dopo gli eventi raccontati nell'originale, con la narrazione affidata a tre personaggi femminili. Dal destino di Difred (libertà, prigione o morte?) allo sgretolamento del regime totalitario: il nuovo romanzo - che custodisce toni meno cupi, e un sottofondo di malcelata speranza - nasce con il dichiarato intento di fornire risposte a tutte le domande rimaste in sospeso per oltre tre decenni. Risposte alle quali seguiranno nuovi interrogativi, nuovi destini, perché non è escluso un terzo capitolo. «Il mio motto è mai dire mai. Ma ho anche imparato che nel mio mestiere non bisogna mai dire quello che si intende scrivere in futuro. Perché se poi capita qualcosa di diverso, ci si trova a doversi giustificare per sempre». Eppure l'attualità dei temi trattati - diritti delle donne, odio, libertà - rende la narrazione di stretta attualità. Una sorta di allegoria anti-Trump per alcuni critici, ad un anno dalle prossime elezioni presidenziali, che riverbera il grido di protesta del #MeToo. «L'elezione di Trump è coincisa con il primo mese di lavorazione della prima stagione della serie tv. Non ha cambiato i contenuti della sceneggiatura, ma il contesto esterno. Da quel momento la serie, e di riflesso il libro, non è più stata pura fantasia, qualcosa frutto di una fervida immaginazione. Bensì una denuncia, una proiezione, qualcosa che si avvicinava alla realtà. Basti pensare alla destra estremista religiosa che ha sostenuto la candidatura di Trump».
Non è dunque un caso che l'abbigliamento delle Ancelle - il lungo mantello rosso sangue, e il copricapo bianco con paraocchi - da qualche tempo compaia puntuale nelle manifestazioni femministe. «È un brillante stratagemma. La prima volta è capitato in Texas, durante una votazione per limitare il diritto all'aborto. Le manifestanti si erano limitate ad indossare quelle vesti, in silenzio. La polizia non era potuta intervenire, perché non rappresentavano una minaccia all'ordine né erano vestite in maniera impropria. Ma tutti hanno capito il messaggio». Grazie principalmente al successo planetario della serie tv, che ha finito per oscurare la primogenitura di Atwood.
«Ma non ho assolutamente scritto questo libro per riprendermi la paternità di nulla. Chi lo pensa mi considera più vendicativa e lunatica di quel che non sono. La verità è che c'è una squadra di autori molto bravi che lavora alla serie tv. Il mio mestiere è un altro, io sono una scrittrice».
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