L'auto più "maschia" di tutte era devotissima al "Santo"

Elogio della mitica Volvo P1800. Con il personaggio di Simon Templar incarnato da Roger Moore costituiva una coppia perfetta

L'auto più "maschia" di tutte era devotissima al "Santo"

Ora che me lo chiedo, non sono più sicuro se la Giulia super Alfa Romeo, con la quale ho imparato a guidare, è femmina o maschio (fermo restando l'adagio dannunziano che vuole ogni auto femmina). Certo fu l'automobile che tracciò gli anni settanta: scellerati, da ragazzi di strada, da rapinatori, da inseguimenti. In curva scalavi dalla quarta alla terza; dalla terza in seconda marcia e lei derapava, si metteva di traverso. Poi, senza toccare il freno, con il volante abbandonato a sé stesso, la Giulia non tradiva: eccola di nuovo dritta. Aveva un cambio morbido, sesso degli dei. Di traverso era come avvertire un leggero spostamento del capo che ti faceva tuffare nell'azzurro. Il mondo slittava e tu, pilota mascalzone, procedevi sull'acqua, sapendo che il timone non ti avrebbe mai tradito. Quando apparve la tedesca Bmw (totalmente maschio), la Giulia trovò una dura rivale, ma non si fermò. Aveva un corpo troppo sensuale (ecco, era femmina!), aveva fatto troppe rapine, era stata per migliaia di coppie il giaciglio dell'amore. La Lancia Fulvia Zagato, invece, era abbastanza maschietta; nella versione HF piuttosto fighetta. Era la tipica auto da carrozziere ricco. Si guidava con stile, magari infilandosi alle dita i guantini di camoscio: l'auto perfetta per un tipo alla Riccardo Fogli.

Per salire di cilindrata, ad esempio, tutte le Ferrari sono femmina, meno la 412 ovviamente 12 cilindri a carburatori o a iniezione. L'ho rincorsa per molto tempo. Adesso chi ne è proprietario se la tiene. Ci sarei andato nel sud della Francia. Due sportelli per un interno da cinque posti. Tornare fino a La Seyne-sur-Mer per rivedere la ciminiera a strisce bianche e rosse, la spiaggia bianca e deserta dentro una malinconia di gabbiani remoti... E poi per molto tempo ho creduto che l'Aston Martin Volante dell'80, pagata dal mio amico Enzo Pennacchi 500 milioni (pare che una identica l'avesse Vasco Rossi), fosse una fuoriserie maschio. Mi dovetti ricredere il giorno in cui lasciammo la sua villa sul colle dove nacque Ottaviano Augusto, con il salone Liberty adornato dalle adolescenti danzanti di Aristide Sartorio e, scoperchiando la Volante, ce ne andammo in giro. Eravamo due da vizietto, con la macchina perfetta per i vizietti.

«Fuori i secondi», gridano gli arbitri sul ring. Forse soltanto la Mercedes Ali di gabbiano è maschio quanto la Volvo P1800: l'auto dei sessanta con la quale scorrazzava nella serie televisiva Il Santo, Roger Moore. Ma che dico!, tolgo il quanto e scrivo che la Volvo P1800 è il prototipo più maschio che abbia visto. Non la descrivo, non voglio strapparle l'Aura.

La P1800 di Moore era bianco ghiaccio e aveva un posteriore che mi fa sognare il caccia Lockheed P-38 Lightning. Basta, mi fermo qui. Comunque sono testimone degli anni ottanta e di come la Saab svedese e la Volvo sempre svedese (soprattutto con i modelli Turbo e Es) si sfidarono nel mercato italiano (io comprai una Saab turbo nera).

In questi giorni ho giocato a immaginare, tra i divi passati e presenti, chi sia in grado di guidare l'auto di Roger Moore.

Dunque, se la Volvo P1800 è maschio, serve gente particolare per impugnare il volante di legno. Alain Delon (con la sua innata bisessualità) sarebbe stato un candidato giusto. Giustissimo sarebbe Ryan Gosling, e non perché è stato lo stupefacente protagonista di Drive e di Solo Dio perdona, ma perché è un maschio isterico che bilancia il maschio puro della P1800. E così l'inarrivabile Christopher Walken, non solo Il cacciatore, ma King of New York, I mastini della guerra. David Bowie, ai tempi della androginia, da sballo. Invece Gassman poteva guidare solo la Flaminia de Il sorpasso.

Tra le donne, alla guida della mitica, vedo Tilda Swinton e Susan Sarandon.

Per tornare ai maschi, tra i femminili o da inconscio femminile vedo appropriato Ralph Fiennes; e tra i maschi e ambigui tifo per Luigi Tenco e Viggo Mortensen. Ma su tutti il Kevin Costner di Yellowstone. Tre espressioni mostruose quando, finalmente sceso da cavallo, dice: «È una leggenda quella di morire di vecchiaia».

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