«Libidine, doppia libidine»: pochi giorni fa è diventato virale un video di Jerry Calà in versione rapper dal titolo Ocio, lanciato nell'ultima puntata del programma di J-Ax Sorci verdi. Anche se tra i commenti sotto il video di Youtube si annovera un apocalittico «Comunque ci meritiamo l'Isis», la reazione più comune è stata a dir poco entusiasta.Il trash che fa la parodia del trash diventa epica. Se ai più giovani, che già conoscono il brano originale da cui è tratta la cover (CoCo di O.T. Genasis) il video non può che strappare almeno un sorriso, ai meno giovani toccano lacrime di commozione, a colpi di tormentoni anni '80 trasformati in strofe (ocio, libidine, doppia libidine) giochi di parole («Rime a raffica, Jerry Cala... shnikov») e riferimenti autobiografici («Vivevo solo dentro il pied a terre, tu ti facevi seghe, io la Venier»).Si tratta dell'ultimo caso di un fenomeno che è solo superficialmente un'operazione simpatia sul filo della nostalgia, e che attraverso l'amarcord ci dice invece qualcosa di più su noi nativi «analogici», e sulle contraddizioni che ci portano a rimpiangere gli anni che hanno preceduto la rivoluzione digitale attraverso smartphone, tablet e social network, che ne sono invece il simbolo.Esempio paradigmatico, il caso di Giancarlo Magalli, diventato un fenomeno sui social network, prima con la leggenda metropolitana di una casalinga bergamasca ossessionata da lui al punto da costringere il marito a girare nudo per casa indossando una maschera raffigurante il suo volto, poi con fotomontaggi di ogni tipo, e infine, dopo le dimissioni di Napolitano, con il sondaggio del Fatto Quotidiano che invitava gli internauti a designare il Presidente della Repubblica ideale: a sorpresa, il conduttore de I fatti vostri vinceva a mani basse le «quirinarie» sbaragliando a sorpresa Prodi, Rodotà e compagnia.Un altro recente (e imprevedibile) successo social-trash è toccato a Toto Cutugno.
Tutto cominciò con una pagina Facebook dal titolo La stessa foto di Toto Cutugno ogni giorno. Decine di migliaia di «like» dopo, ecco che il fenomeno, nella sua ripetitiva banalità, diventa addirittura oggetto di uno studio pubblicato sul sito della Cornell University, e il cantautore settantenne, grazie a una rinnovata fama, tiene concerti sold out in Est Europa e incide una versione in cinese de L'italiano, con tanto di video girato nella Chinatown milanese, in Via Paolo Sarpi, che viene immediatamente ripreso da tutti i telegiornali italiani.Successo clamoroso anche per una web serie creata da Lory Del Santo (che firma, oltre all'ideazione del soggetto, la sceneggiatura, la regia, la produzione, la fotografia, il montaggio, le riprese, la scenografia, la scelta delle musiche, i costumi). Fin dalla prima puntata di The Lady-l'amore sconosciuto, «andata in onda» sul canale YouTube della Del Santo, il successo social ha stupito tutti. Grazie a dialoghi (involontariamente?) surreali (Oh, Simone, certo che Luna è una gran bella gnocca/ Elevata Vorrei agguantarla/ Ma cosa fa esattamente? Ma chi è?/ È piena di soldi, suo marito americano è scomparso nell'oceano con il suo aereo privato. Era ricco sfondato. Però non hanno mai trovato il corpo/ Ah, interessante!/ Sì, ma tanti misteri la circondano, è una leggenda. Un passato top secret e un futuro molto complesso) e a dichiarazioni a effetto come «Questo film è stato girato in 15 giorni. È costato molto, nonostante facessi quasi tutto io, e l'ho pagato di tasca mia perché volevo farmi un regalo. Quando sarò come Sorrentino probabilmente potrò permettermi una troupe», nell'esagerazione del trash, il trash scompare, per fare della serie un prodotto di culto.La icone del passato, il cui destino poteva essere quello di rimanere confinate nella memoria, sempre più labile, dei loro fan di un tempo, sulla rete possono diventare fenomeni plurigenerazionali, aggiudicandosi nuove fasce di pubblico sul palcoscenico del web, grazie alla cassa di risonanza di condivisioni di un pubblico di nomadi, senza nessuna a casa a cui tornare. La televisione generalista è fatta per gli anziani, i nuovi divi, gli Youtuber, parlano ai giovanissimi con linguaggi che non capiamo (e, spesso, ne siamo sollevati).
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