Non è difficile trovare nella letteratura spagnola autori che accanto alla lingua materna utilizzano quella nazionale rappresentata dal castigliano, come mostrano numerosi autori catalani, quali Ana Matute, Juan Marsé, Juan Goytisolo e soprattutto il barcellonese Joan Margarit (1938-2021), Premio Cervantes 2019. Quest'ultimo coltiva non solo due lingue, ma anche due generi creativi che sono l'architettura e la letteratura: ha insegnato calcolo strutturale, ha progettato importanti lavori nella capitale catalana, unendo il linguaggio della tecnologia con quello della poesia. Alla domanda com'è possibile esprimere due esperienze estetiche, risponde l'articolata introduzione di Marisa Martínez Pérsico che apre il libro Joan Margarit. Amare è un luogo. Antologia trilingue (Poesie 1975-2021) (Edizioni dell'Orso, pagg. 168, euro 20; trad. Loretta Frattale).
Il dialogo fra le diverse lingue e discipline dà vita a una dialettica in cui la presenza dello spazio crea una continua contaminazione fra il lessico poetico e quello scientifico. Lo spiega lo stesso poeta parlando della necessità di un supporto architettonico nel discorso verbale: «Una poesia scrive è come la struttura di un particolare edificio che non può mancare o tralasciare né un pilastro né una trave». Da qui la ricerca di un sostegno fisico, spaziale ancora di salvezza rappresentato a volte dalla metafora del riccio di mare: «Sotto le acque poco profonde della costa... cerco lo scoglio / da cui non debba spostarmi mai». Il dialogo fra i due codici si arricchisce del plurilinguismo contiguo del catalano e del castigliano, che interagiscono fra loro: il primo è espressione del «profondo», mentre l'altro va in cerca del «sommerso».
Tutta l'opera di Margarit, legata alla corrente «La nuova sentimentalità», che ha come maestro Luis García Montero, appare retta dalle impalcature di un immaginario edificio quale sostegno alla temperie della vita.
Un diaframma fisico assume la funzione di una difesa contro la cruda realtà del tempo, come appare nella poesia Mattino al Cimitero di Montjuïc, dove l'autore osserva dall'alto del monte le piccole barche e le gru del porto mentre il mare si espande intorno: «Qui, nel punto più alto» confessa «sei al riparo dal dolore del mondo». La verticalità, più che la lontananza, fa da scudo alla confusa orizzontalità dove scorre la vita quotidiana con tutti i suoi affanni.
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