Al Carrobbio, cuore della Milano romana, si trova una chiesa dedicata a San Sisto. La volle nel Seicento Federico Borromeo: facciata barocca e interni austeri, cadde in rovina finché, nel 1974, l'artista Francesco Messina la rilevò, pagandone il restauro. Divenne così per un ventennio il suo atelier, e oggi è un affascinante studio-museo che ospita la collezione delle sue sculture ed esposizioni temporanee: è qui che Giulia Manfredi, 35 anni, ha portato il suo Regno Sottile (fino al 26 agosto). La mostra curata da Sabino Maria Frassà è il risultato di un biennio di lavoro, dopo la vittoria dell'artista nel Premio Cramum al Grande Museo del Duomo di Milano: questo luogo così infarcito di storia e di storie (la base longobarda e poi romana, le nicchie d'altare, la sconsacrazione, le opere di Messina tra cui i bronzi con il volto del Cardinal Schuster) diventa scenografia perfetta della fragile - eppure eroica - arte di Giulia Manfredi.
Un piccolo altare laico in marmo sostiene due aceri bonsai e accoglie il visitatore: ai lati ci sono Orfeo ed Euridice, due opere in resina con fiori di iucca fissati per sempre dentro un involucro, che è la quintessenza della bellezza dell'artificio capace di sublimare la morte. Si scende nella cripta, vero fulcro della mostra: una catabasi con al centro opere vive, ovvero mini-giardini all'italiana, con erbetta curata e alberi bonsai, perfettamente incastrati su piedistalli in marmo solcati da un rigagnolo di acqua e mantenuti in salute da una luce violetta, tanto straniante quanto necessaria, così come i tubicini per l'irrigazione. Alle pareti, ali colorate di farfalle recuperate dalle polverose collezioni vendute nei mercatini si trasformano - ancora una volta incastrate nel marmo - in finestrelle decorative, quasi fossero rosoni gotici. Si respira l'aria di un micro-giardino tenuto in vita dall'artificio dell'uomo (fino a quando?), tra farfalle che non volano più e sculture in marmo che ricordano il candore degli antichi ghiacciai, oggi minacciati dai cambiamenti climatici.
Giulia Manfredi, studi di pittura alle Belle Arti di Bologna e poi a Berlino con la grande video-artist Hito Steyerl, figlia dello scrittore e storico Valerio Massimo Manfredi da cui ha ereditato lo sguardo curioso verso il mondo, si è lasciata sedurre dalla conturbante armonia tra rigore e pensiero magico dei giardini all'italiana: «Mi piace l'idea che alla base della loro progettazione vi fosse una sorta di diagramma legato alle geometrie celesti e a quelle che si pensava fossero le energie astrali», spiega. Il mercato e i collezionisti finora hanno imparato ad apprezzarla per le raffinate opere in resina («Lavorare con la morte non mi ha mai infastidito») ma ora, complice la recente maternità, è passata a opere vive.
Manfredi è tuttavia allergica all'«art-ivismo» e al neo-ecologismo di moda: le sue installazioni mostrano i corsi e i ricorsi della vita che, seppur regolata dalla mente umana, alla fine se ne va comunque alla sua maniera, perché il suo destino è generare altro. L'arte è un'alchimia: cresce negli interstizi di questo regno sottile, quello della bellezza del cambiamento ineluttabile e dell'impossibilità di governare il caos.
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