Quella memoria «dimezzata» sui totalitarismi

Quella memoria «dimezzata» sui totalitarismi

Che fine ha fatto il Giorno della Libertà? Istituito solennemente con una legge del 2005, da celebrarsi con la stessa dignità attribuita alla Shoah e ai Martiri delle foibe, l'anniversario della caduta del Muro di Berlino è sparito dai radar della politica. Ammettiamo pure che, agli occhi del governo giallo-verde, giochi a suo sfavore il fatto di essere stato voluto dall'allora Capo del governo Silvio Berlusconi, e firmato da un certo Carlo Azeglio Ciampi. Concediamo pure che, nell'agenda dell'esecutivo, campeggino come priorità l'eliminazione della prescrizione nei processi, il taglio alle pensioni meno povere e il blocco delle grandi opere, piuttosto che la caduta ufficiale del comunismo. Resta comunque il fatto che «munita del sigillo dello Stato» e «inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica», la legge numero 61 recita: «È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato». D'accordo, si sa che in politica le buone intenzioni lastricano la via dell'inferno: tuttavia c'è del metodo in questa regìa della smemoratezza. Perché, guarda caso, anche il Memento Gulag, ricorrenza del 7 novembre - lugubre anniversario della rivoluzione bolscevica in cui si commemorano le vittime del comunismo - vive da sempre un'esistenza precaria. Vuoi vedere allora che la cosiddetta «memoria condivisa» per qualcuno significa farne prevalere una sull'altra, in onore al principio dell'egemonia ideologica teorizzato da Gramsci? Sia come sia, il paradosso rimane. Perché il Memento Gulag lanciato con la benedizione di Vladimir Bukovskij, il più noto dei dissidenti antisovietici, continua a fare qualche sporadica apparizione, e a raccogliere il testardo omaggio degli irriducibili. Il Comune di Lodi, ad esempio, ha dedicato questo 7 novembre alla messa in scena della pièce teatrale La bambina che amava Stalin, interpretata da Isabel Russinova; e ha commosso con il toccante racconto della quattordicenne Nina, ingenuamente devota al dittatore benché lei stessa e tutta la sua famiglia fossero state condannate a morire di fame insieme a milioni di contadini ucraini. E nelle stesse ore, senza troppo rumore, la Regione Lombardia ha inaugurato nel foyer del Pirellone la mostra fotografica La battaglia di Budapest, alla presenza del console ungherese Jeno Csiszàrche. Così, passando dal genocidio attuato da Stalin negli anni Trenta all'invasione di Budapest del '56 - con immagini cariche di un disperato fervore patriottico - è possibile evocare l'altra metà della memoria, e istruire le giovani generazioni sulla brutalità del comunismo. Il Giorno della Libertà, invece, riscuote solo silenzio.

Tuttavia, scindere le celebrazioni del 7 da quelle del 9 novembre, quando gli uomini liberi dovrebbero festeggiare l'uscita di scena del totalitarismo, è un po' come raccontare i conflitti ideologici del '900 tralasciando di chiarire chi ha vinto, e chi invece è finito nella pattumiera della Storia. Arriverà pure il momento in cui le coscienze si risveglieranno: ma, se non ora, quando?

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