miart è pronta a raccontare un secolo di bellezza

Dal primo '900 alle ultimissime tendenze. Il direttore Rabottini: "Qualità e diversità coincidono"

miart è pronta a raccontare un secolo di bellezza

Milano nel giro di poche settimane sarà il palcoscenico italiano della cultura, con arte, design e letteratura. Si comincia domani con l'anteprima di MiArt, fino a domenica 2 aprile, nei padiglioni di Fiera Milano City. Ma la settimana calda del contemporaneo è già cominciata, dalle inaugurazioni dell'eccellente mostra di Miroslav Balka all'Hangar Bicocca e di una selezione molto curata di opere di Pino Pascali alla Fondazione Carriero. Ventidue edizioni di una fiera decollata solo nell'ultimo quinquennio, dopo esser stata a lungo in crisi di identità, tanto che non si capiva quale fosse il suo posto tra l'esclusività snob di Artissima a Torino e lo spirito generalista e caciarone di Arte Fiera a Bologna.

Oggi MiArt è una realtà importante, osservata con interesse all'estero, ma senza penalizzare il mercato italiano. E al nuovo direttore Alessandro Rabottini, abruzzese classe 1976, ex vice di Vincenzo De Bellis e dunque esperto nel far funzionare la macchina, è riuscito il colpo di invitare alcune gallerie straniere di primissimo ordine, non presenze esotiche tanto per vantarsi di essere internazionale. I nomi? Barbara Gladstone e Marianne Boesky da New York, Zeno X da Anversa, Antoine Levi da Parigi. «Operatori così importanti - ci spiega - sono attratti in egual misura dalla serietà della fiera e dalla vivacità della proposta culturale di Milano. I due aspetti, dunque, non sono in concorrenza. Il programma dell'Art Week è stato studiato con equilibrio. Soprattutto i collezionisti stranieri vengono a Milano perché sanno di trovare un'offerta molto ricca. Negli orari di apertura della fiera non sono previsti eventi e inaugurazioni, però i musei sono aperti la mattina e ogni sera non manca un opening cultural-mondano. Si tratta di due vettori di uno stesso sistema».

Sono 174 le gallerie, il 41 per cento straniere. La linea guida conferma l'ampiezza cronologica che dalle avanguardie del primo '900 arriva alle ultimissime tendenze. Resta anche l'appendice sul design, molto apprezzata e ponte ideale verso il Salone del Mobile, e raddoppiano i premi indirizzati ai giovani artisti. Sul rischio di un prodotto troppo ibrido Rabottini ha le idee chiare. «Molto meglio - dice - offrire una varietà di espositori, con proposte che vanno da Picabia alla sperimentazione, da Marino Marini all'installazione multimediale. L'ambizione è ampliare il parco dei clienti, fare incontrare pubblici diversi. La qualità coincide così con la diversità. Quanto al dogma delle gallerie giovani a tutti i costi, se ne abbiamo venti buone è inutile invitarne cinquanta». Se la GAM di corso Palestro espone «100 anni di scultura a Milano (1815-1915)» con capolavori inediti restaurati, basta attraversare il cortile e raggiungere il PAC per incontrare Santiago Sierra, fra gli artisti più discussi di oggi, che in «Mea Culpa» mette insieme i lavori che gli diedero molta notorietà quando dalla Spagna si trasferì a Città del Messico, performance e installazioni recenti dove continua la sua spietata analisi nei confronti del capitalismo, anche se non sempre tutti i suoi interventi hanno la stessa autentica credibilità.

FM Centro per l'arte contemporanea, sorto nei locali dei Frigoriferi Milanesi in via Piranesi, propone «Il cacciatore bianco», rassegna sull'arte africana tribale e contemporanea, studiando il rapporto tra cultura autoctona e colonizzazione, per la cura di Marco Scotini.

L'Albergo Diurno di piazza Oberdan ospita l'installazione di Flavio Favelli, scultore bolognese molto sensibile quando si tratta di interpretare spazi abbandonati e attraversati dalla nostalgia del tempo. Dulcis in fundo, le otto vetrine della Rinascente di piazza Duomo si aprono al surrealismo di Paola Pivi e alla sua nuova opera I am tired of eating fish, che resterà allestita diverse settimane.

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