Vero o falso? Il mondo si divide su “Leaving Neverland”, il documentario in cui Michael Jackson viene accusato di abusi sui minori.
Il produttore austriaco Rudi Dolezal - il quale ha collaborato con la popstar per alcuni video - ne è certo: crede “a quasi tutte le parole” che vengono pronunciate da Wade Robson e James Safechuck, i due uomini che affermano nel film di Dan Reed di essere stati abusati da Jacko quando avevano solo 7 anni e 10 anni.
Come riporta il Mirror, Dolezal ha affermato di aver compreso le motivazioni che possono aver portato i due accusatori a cambiare versione, nonostante in passato avessero testimoniato a favore della popstar. “Credo quasi a ogni loro parola, è un lavoro brillante - ha detto il produttore, riferendosi al film - Se la leggenda di Michael Jackson risulta distrutta da questo, il responsabile è Michael Jackson - nessun altro”.
Robson e Safechuck sostengono di essere stati sottoposti a una sorta di lavaggio del cervello dal re del pop, affinché non rivelassero a nessuno degli abusi - abusi che resteranno per sempre presunti, dato che l’accusato è morto da quasi 10 anni. In più Jacko fu assolto nel 2005 da accuse simili. Per questa ragione, la famiglia Jackson continua a difendere lo scomparso congiunto, parlando di “linciaggio pubblico” nei suoi confronti.
Dolezal però punta il dito contro un membro particolare della famiglia Jackson, cioè papà Joe, aggiungendo un dettaglio inquietante al già noto e travagliato rapporto tra
padre e figlio. Stando al racconto del produttore, Joe avrebbe avuto un grosso ruolo in quello che Michael diventò: a 4 anni lo fece ballare su un piano rovente, per costringerlo a muoversi più velocemente.Segui già la nuova pagina di gossip de ilGiornale.it?
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