Los Angeles - Chris Evans ci ha oramai fatto il callo, e anche il livido, a interpretare super-eroi: si era cimentato prima come la Torcia Umana in Fantastic Four, poi come Capitan America nell'eponimo film del 2011, in The Avengers (2012), e ora nel secondo Captain America: The Winter Soldier (in Italia il 24 marzo). Evans dappertutto: l'attore americano di 33 anni è sugli schermi anche nel dramma futuristico Snowpiercer del sud-coreano Joon-ho Bong (dal 27 febbraio in Italia), lo si è visto qualche mese fa in Thor 2 (una breve apparizione sempre nei panni di Steve Rogers/Capitan America), ha diretto la sua opera prima, la commedia romantica tutta su un treno 1:30 Train, ed è impegnato nelle riprese di Avengers 2: Age of Ultron.
Girato a Cleveland, Washington D.C. e Los Angeles con un mega-budget di 170 milioni di dollari, diretto dai fratelli Anthony e Joe Russo, Captain America 2 unisce Steve Rogers (Evans) a Natasha Romanoff, alias Vedova Nera, ovvero Scarlett Johansson. I due devono combattere il supernemico Bucky Barnes (il soldato d'inverno del titolo, interpretato da Sebastian Stan) aiutati dal guerriero Falcon (Anthony Mackie). Creato nel 1941 da Jack Kirby e Joe Simna, Capitan America era un personaggio tutto patriottismo Usa. E la serie ha ancora un sapore retro. Ne abbiamo parlato a Los Angeles con Evans.
Evans, in che cosa si distingue questo "Captain America" dal precedente?
«Bucky Barnes era un amico di Rogers anni addietro, e riappare nella vita di questi solo per causare danni indicibili. Il passato di Steve torna ad assaltarlo. La forza d'urto scagliata contro Capitan America è spaventosa. Senza la Vedova Nera e Falcon potrebbe anche soccombere».
In che misura è faticoso girare questi film?
«Guardi, non dico che mi sono rotto le ossa, ma di sicuro mi sono ricoperto di lividi. Quando giri la stessa scena in cui devi rotolarti per una giornata intera, la sera torni a casa ammaccato».
Capitan America come metafora di...?
«Dell'eroe senza poteri soprannaturali, è solo forte. È l'emblema della correttezza politica, credo, il meno nevrotico dei supereroi della Marvel, quasi tutti tormentati e pieni di contraddizioni, a pensarci bene. Rogers non ha nessuno sulla cui spalla poter piangere. L'ingresso in scena di Falcon rappresenta a mio avviso il sostegno che solo un estraneo è capace di darti».
Recitare di nuovo accanto alla Johansson che effetto fa?
«Siamo oramai abituati a lavorare insieme. Scarlett sa come giocare con la sua avvenenza, esattamente come la Vedova Nera fa nella finzione. Durante il ciak la guardo ammirato come farebbe qualsiasi spettatore. Tra di noi non c'è mai stato nulla di romantico. Non sono il suo tipo, e mi adeguo».
Cosa ci dice degli altri suoi film, Snowpiercer e 1:30 Train?
«Era importante utilizzare bene gli spazi disponibili tra un Marvel e un altro. Snowpiercer ha come sfondo la minaccia climatica, è un film fantascientifico che fa riflettere, mentre 1:30 Train è una deliziosa commedia scritta da Ron Bass che ho voluto dirigere io. Vi recito un sassofonista che s'innamora di una ragazza che incontra su un treno (Alice Eve, nda). È importante dimostrare di avere una gamma più ampia rispetto a la Torcia Umana o Capitan America».
Continuerà dunque a recitare Capitan America?
«Il terzo capitolo sembra certo. Altri Avengers verranno. Realisticamente, farò su e giù tra Capitan America e The Avengers per i prossimi sette anni. A 40 smetterò».
Steve Rogers è un introverso che quando scopre di avere certi poteri scopre anche le tentazioni che vengono con esso. Ci si identifica lei che è diventato un divo del cinema?
«Come Steve ho dovuto anch'io compiere degli sforzi per tenere la testa a posto qui a Hollywood. Il successo improvviso non è giunto senza le sue malie, ho avuto il mio periodo narcisista.
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