"Il mio film è la prova che anche le commedie possono vincere"

Il regista di "Perfetti sconosciuti", premiato con due David: "Mi ha sorpreso, però credo che la pellicola meritasse un riconoscimento"

"Il mio film è la prova che anche le commedie possono vincere"

Una commedia, Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese, ha vinto i David di Donatello come miglior film e miglior sceneggiatura. Un film di supereroi all'amatriciana, Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, ha ottenuto invece sette statuette in categorie importanti. È evidente che, a parte la mancanza di Checco Zalone, vuoi per l'ingresso di Sky, vuoi per una particolare congiuntura, i premi dell'Accademia del cinema italiano siano stati quest'anno particolarmente sorprendenti. Naturalmente c'è già chi grida allo scandalo senza però considerare che questi riconoscimenti non vogliono segnare una cesura tra cinema d'autore, «che fa pensare» come ha detto il presidente Mattarella, e cinema popolare, quanto invece segnalare una certa positiva varietà, e qualità, dei film di quest'anno. Così, in un mondo non certo perfetto (tra i titoli di valore dimenticati ricordiamo Bella e perduta di Pietro Marcello), si può essere contenti sia per Matteo Garrone migliore regista con Il racconto dei racconti - Tale of Tales, sia per Perfetti sconosciuti, miglior film in una cinquina importante con titoli come Fuocoammare di Gianfranco Rosi, Non essere cattivo del compianto Claudio Caligari e Youth - La giovinezza di Paolo Sorrentino.

Paolo Genovese, a parte il suo film, lei per chi avrebbe votato?

«Per Non essere cattivo, non per commemorare un grande regista, ma proprio per il valore assoluto di quella pellicola».

Dopo una notte di festeggiamenti che idea s'è fatto dei premi così importanti a Perfetti sconosciuti?

«All'inizio sono stato molto sorpreso, non tanto per la sceneggiatura perché un po' ci speravamo, ma perché aprioristicamente, io per primo, non pensavo che una commedia potesse vincere. Però ora a bocce ferme, senza falsa modestia, credo che il film meritasse un riconoscimento importante, e già le nove candidature lo erano. Poi alla fine la sorpresa del miglior film».

C'è chi dice che il film è stato un po' sopravvalutato.

«Le critiche ci sono sempre, figuriamoci, è successo anche con Sorrentino quando ha vinto l'Oscar. Però su questo film devo ammettere che il plauso del pubblico è stato generale. Non solo per la sorprendente affluenza nelle sale, con due milioni e mezzo di spettatori e un incasso di più di 16 milioni di euro, quanto perché mi è stato difficile trovare un commento negativo anche sui social. Un apprezzamento così ampio non mi era capitato neanche con Immaturi».

Proprio in questi giorni sono in corso le riprese di Immaturi, la serie ispirato al suo film, a proposito di tv le è piaciuta la diretta della serata realizzata da Sky?

«Sì molto, ci voleva qualcuno che desse lustro mediatico alla premiazione. Anche perché portare i protagonisti del cinema, soprattutto quelli non famosi e che stanno dietro le quinte, a conoscenza del pubblico significa fare cultura».

Che tipo di tendenza emerge dai David di quest'anno?

«Un'attenzione forte dei giurati verso generi diversi, tra cui la commedia. È un monito anche per noi che ci lamentiamo sempre di essere snobbati dai premi. È una risposta interessante e uno stimolo a fare bene qualunque genere di film».

Siete appena tornati da New York, dal Tribeca, il festival di Robert De Niro.

«Due emozioni che si mischiano. Al Tribeca è stato un momento importante perché il mio film è la prima commedia italiana presentata in concorso, siamo stati accolti quasi meglio che in Italia, applausi e risate a scena aperta. Il film è stato capito ed è arrivato al pubblico tra cui sedevano anche produttori importanti come Harvey Weinstein e Luc Besson, che si sono complimentati con me».

Già si parla di possibili remake, mentre la nuova società italiana di distribuzione internazionale, True Colours, sta vendendo il film all'estero.

«Per il remake ci sono giunte molte richieste, quelle più importanti sono arrivate dagli Stati uniti, dalla Francia e dalla Spagna».

In Italia, ma non solo, quando un film funziona si gira subito il sequel. È questo il suo caso?

«Penso di no, girare un seguito mi

sembrerebbe come specularci sopra, non me lo perdonerei, io prima ancora che il pubblico. Però sto cercando di trasformare questo successo in un'opportunità per riuscire a trovare i produttori giusti per il mio nuovo progetto».

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