Da qualche anno la Spagna sta vivendo un momento fortunato per quanto riguarda il mondo del thriller sia dal punto di vista letterario che da quello cinematografico e televisivo. Con La Ragazza di Neve (Salani) Javier Castillo dimostra di essere uno dei più maturi interpreti della narrativa di suspense iberica. La sparizione nel 1998 a New York, durante il Giorno del Ringraziamento della piccola Kiera Templeton innesca la disperata indagine di suo padre. Sucessivamente convincerà, nel 2003, la giornalista Miren Triggs a occuparsi di questa scomparsa. Intanto un misterioso video (inviato alla famiglia) mostra Kiera che gioca con una casa di bambole. A raccontarci i segreti della costruzione di questa storia e della sua passione per un certo tipo di letteratura è lo stesso Javier Castillo da noi incontrato a Milano.
Quando è nata la sua passione per il thriller?
«Ho iniziato a leggere i romanzi di Agatha Christie quando ero adolescente e li è nato il mio amore per la suspence che poi progressivamente si è concentrato sul thriller. Un thriller è una grande domanda iniziale per la quale non abbiamo una risposta: da lì prende il via il romanzo».
Crede che questo tipo di letteratura debba spaventare o far meditare sui problemi della società?
«Penso che debba soprattutto intrattenere, agguantare il lettore per il bavero e non lasciarlo andare, impedirgli di smettere di leggere e in seconda battuta indurre a una riflessione su altre cose. Ad esempio ne La Ragazza di Neve c'è una riflessione sulla maternità, su un certo tipo di giornalismo sensazionalista e sulla mancanza di giustizia che attraversa tutto il libro».
È facile scrivere storie di tensione in un periodo cosi difficile come questo per la situazione internazionale?
«Per niente. Penso che in questo momento sia difficile scrivere qualunque genere di libro perché la creatività ha bisogno di tranquillità anche se il thriller funziona a base di emozioni forti. Si scrive meglio in uno stato di quiete piuttosto che non immersi in una situazione problematica. Prima il Covid e ora la guerra. La paura è nemica della creatività».
Com'è nato il suo ultimo romanzo?
«Nasce dalla peggiore paura che può vivere un genitore. Volevo plasmarla all'interno della trama di un thriller. Inoltre nella mia storia troviamo una giornalista che si immerge in questo caso nel tentativo di ritrovare sé stessa».
Come si è documentato sulle sparizioni di bambini, c'è qualche fatto di cronaca in particolare che l'ha ispirata?
«Ho fatto molto lavoro di ricerca scavando in diversi casi di minori scomparsi. Una dimensione desolante se si pensa che solo negli USA sono registrati 400 mila casi all'anno. Fortunatamente la maggior parte di queste situazioni si risolve ma c'è una minima proporzione che si accumula anno dopo anno. È un lutto permanente per chi è coinvolto. Ho cercato di fare in modo che la mia storia fosse diversa da tutti i casi reali che ho conosciuto famosi o meno. Mentre mi documentavo mi sono reso conto di come alcuni casi abbiano ricevuto un trattamento completamente diverso dalla stampa».
Perché non ha ambientato la sua storia in Spagna?
«Per due ragioni: in primo luogo volevo rappresentare un momento che costituisse il colmo della felicità per i bambini e il peggior trauma per dei genitori: la parata del Ringraziamento di New York era l'occasione ideale oltre ad essere molto conosciuta nel mondo. Inoltre volevo muovere una critica al giornalismo sensazionalista ma senza dare l'impressione di prendermela con alcuni giornali spagnoli quindi ho allontanato da me il quadro collocandolo negli Stati Uniti e creando un giornale fittizio, rendendo la mia critica universale».
Cosa dobbiamo aspettarci dalla serie Netflix ispirata al suo romanzo?
«L'adattamento è spettacolare grazie alla squadra di grandi professionisti che se ne stanno occupando. Ci saranno dei piccoli cambiamenti indispensabili nella trasposizione ma tutti concordati e meditati. Guardando la serie si ritroverà il romanzo e viceversa e spero che la serie spinga molti a volerlo leggere».
Come si è evoluto in Spagna il mondo del
thriller?«Stiamo vivendo una sorta di epoca dorata con nomi come Dolores Redondo, Maria Oruña o Eva García De Urturi. Tutti grandi nomi internazionalmente noti. Sono certo che saranno salutati dal favore del pubblico italiano».
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