Moe Tucker, ribelle rock stregata dal «tea party»

Moe Tucker, ribelle rock stregata dal «tea party»

Moe Tucker è fatta così, spunta fuori quando meno te l’aspetti, una specie di genio carsico del rock, e non solo del rock. All’epoca d’oro dei Velvet Underground, quella di Nico e del disco con la banana wharoliana in copertina, Moe (Maureen) Tucker se ne stava dietro ai tamburi, metteva la cassa della batteria in piedi e la percuoteva con dei martelletti. Imbastiva ritmi tribali, rubati dai percussionisti afro, era la corrente di energia dell’art rock, dietro alle figure carismatiche Lou Reed e John Cale, e alla bellezza algida e stilosa di Nico.
Ma nelle foto dei Velvet la Tucker aveva l’aria fuori contesto, con i capelli lisci e la faccia fresca da ragazza normale, in seguito ha commentato: «cercavo di non essere vista» e «glamour is not my way». Nonostante questo, il suo modo di suonare selvaggio ha fatto scuola per energia e intenzione, ed è stato ripreso da varie generazioni rock, non ultimi i Sonic Youth e i White Stripes.
Alla irrequieta e inclassificabile Moe lo star system non bastava, o non interessava. Nel 1969, infatti ha abbandonato i Velvet con la più tradizionale delle motivazioni: doveva tirare su suo figlio. Finì per sfornarne e allevarne cinque, mentre lavorava come commessa in un negozio Walmart, ma ciò non le impedì di continuare con la musica, di dedicarsi a chitarra e sassofono, e pubblicare una serie di dischi di culto, da Playin’ Possum (1981) al live Moe Rocks Terrastock (2002), dispersi tra piccole case discorafiche e nel complesso di difficile reperibilità. Ora è uscito I Feel So Far Away: Anthology 1974-1998, un triplo Cd con 32 canzoni, tra cui alcune cover dei Velvet, un’edizione lussuosa (c’è anche l’opzione vinile). Si tratta di una summa perfetta del mondo artistico della Tucker: i classici ritmi «primitivi», cover dei Velvet (Heroin) riletture di grandi classici, da Bo Diddley a Chuck Berry, che mostrano fedeltà alla tradizione rock, ma alla sua maniera, molto naive e allo stesso tempo oscura e stradaiola.
Omaggio dovuto a un’artista seminale del rock internazionale, ma appunto di carsica presenza: la definizione di eroina sottostimata parlando di Moe, è la norma tra i saggisti rock. Sui palchi la Tucker si è vista pochissimo lungo i decenni, a parte un notevole tour «nostalgico» con i Velvet del ’93. Anche perché, ha spiegato: «Tra figli grandi e piccoli da accudire e da portare a scuola, non potevo mai stare in tour per più di un mese».
Ma nel 2010 la Tucker era comparsa di nuovo, stavolta in una veste completamente diversa: in un tg americano andava in onda un servizio sui Tea Party, il movimento anti-tasse, liberista e conservatore Usa, che in Italia conosciamo soprattutto grazie all’allure quasi esotica di Sarah Palin. Tra gli intervistati di una manifestazione anti-Obama a Tifton, Georgia, c’era lei, che si diceva «Furiosa per il modo in cui siamo guidati verso il socialismo, e per l’incredibile spreco di danaro» del Governo americano. Ci vollero dei mesi perché il video arrivasse su youtube. Ma da quel momento tutta l’intellighenzia liberal d’America si ribellò contro Moe. Una musicista underground, libertaria, con tutti i crismi controculturali e di sinistra, che si intruppava con la peggior destra? La risposta della Tucker (che deve avere un magnifico caratterino) è stata: «Sono stupita che così tanti liberal siano così intolleranti. Non sei d’accordo e vieni immediatamente bollata come pazza e razzista».
Attenzione, però. La Tucker non si è trasformata negli anni in una conservatrice: le divergenze con Sarah Palin ci sono e sono molte. È semplicemente un’esponente del lato rock del Tea Party: liberista in economia, libertaria in tutto il resto.

O la testimonianza che l’appartenenza ideologica non è più il metro per valutare le scelte politiche, che le egemonie culturali del radicalscicchismo sono saltate. E che sia venuta fuori a dimostrarlo una batterista selvaggia, madre e genio carsico del rock è un fatto interessante.

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