È scomparso Carlo Pedretti, il massimo esperto in assoluto di Leonardo, lo storico dell'arte italiano più conosciuto e apprezzato nel mondo anglosassone. Avrebbe compiuto domani 90 anni. Se ne va dunque dopo una vita lunghissima e una malattia fulminea ma inesorabile, comunicata agli amici dai più stretti collaboratori solo qualche settimana fa, con l'emozione e i timori di chi sa che il lavoro ancora sul tavolo dello studioso bolognese era tantissimo, molte le direzioni di ricerca aperte, le iniziative intraprese che aspettavano di essere finalizzate. Una su tutte, la Fondazione dedicata a Leonardo che Pedretti voleva a Vinci, e che lo aveva portato a tornare nel nostro Paese dopo molti anni trascorsi negli Usa, dove aveva insegnato a Los Angeles.
La statura di Pedretti è anche e soprattutto nei numeri: 50 libri e più di 700 saggi pubblicati, all'interno di un'attività infaticabile che aveva intrapreso ancora adolescente. A soli sedici anni aveva scritto il primo articolo, sul Corriere della Sera. Era il 31 gennaio 1952. All'epoca i più importanti studiosi di storia dell'arte si chiamavano Longhi, Berendson, Suida. Era un mondo che non conosceva ancora l'approccio eclettico, per certi versi più da scienziato che da storico dell'arte classico, di Pedretti. «Servo dei servi di Leonardo», come si legge nel necrologio diffuso in queste ore dalla moglie Rossana, Pedretti era anche studioso dalle posizioni scomode. Per stare all'attualità, aveva rigettato l'attribuzione del Salvator Mundi venduto da poco più di un mese in asta per 450 milioni di dollari, poiché riteneva maggior meritevole di attenzione un'altra redazione. Riconosceva una terza versione autografa della Vergine delle Rocce, che sta in una collezione privata francese, e che è a tutti gli effetti una sua scoperta. Non gli erano state risparmiate alcune polemiche, come quella del supposto disegno preparatorio della Battaglia di Anghiari, emerso nel 1998, da lui accolto favorevolmente, e che invece si scoprì realizzato dal pittore contemporaneo Riccardo Tommasi Ferroni. Proprio il lavoro sui disegni di Leonardo, straordinariamente complesso, lo aveva portato sin dal 1957 a pubblicare il primo catalogo dei frammenti raccolti alla Royal Library a Windsor. Un lavoro che poi sfociò nell'edizione monumentale del 1968/69, vera e propria pietra miliare che nei decenni successivi ha fatto seguire da altre monografie, sempre dedicate ai disegni di Leonardo e della sua cerchia. Tra le sue acquisizioni più interessanti, va ricordata quella del 1985, quando riferì a Leonardo un modello in cera di un cavallo con cavaliere, ritenendolo un ritratto equestre del governatore di Milano Carlo D'Amboise, eseguito nel 1506/08.
Ma l'importanza di Pedretti, il dato innovativo della sua figura di storico dell'arte, è nella sua dedizione pressoché totale a Leonardo. In quel senso è stato il primo e il più importante degli studiosi ultra-specialisti, precorrendo una tendenza che sarebbe diventata una regola. «Leonardo mi ha fulminato a 13 anni», amava raccontare. Nel 1941 aveva acquistato su di una bancarella un libro di Clemente Fusero. «C'era la riproduzione di un mulino, accompagnata da alcuni appunti. Colpito da quell'immagine, che riportava la grafia rovesciata tipica di Leonardo, aveva cominciato a imitare quella tecnica di scrittura. «Mi sono messo a scrivere come Leonardo.
Pur non essendo mancino, mi esercitavo con la mano sinistra. Ancora oggi scrivo correttamente con la grafia rovesciata». Un'abitudine e una passione che hanno abbracciato tutta una vita, trasformando la nostra concezione del genio di Vinci.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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