Dal nostro inviato a Piacenza
A quaranta metri d'altezza, tu per tu con il Guercino. Sotto di te, al di là del parapetto di sicurezza alto un metro e mezzo, lontanissimi, i marmi della pavimentazione del Duomo romanico. Sopra, a distanza di un braccio o poco di più, gli affreschi della cupola. Otto vele, otto possenti profeti, quattro lunette con gli episodi dell'infanzia di Gesù, otto carnali Sibille. Il Sacro e il Profano. Un ciclo meraviglioso, dipinto a «buono fresco» tra il maggio del 1626 e il novembre del '27 da Giovanni Francesco Barbieri, soprannominato per il suo strabismo fisico ma non artistico il Guercino. Era proprio qua su, sopra ponteggi pericolanti, il pittore emiliano: 390 anni fa.
Oggi qua su ci siamo noi. E da domani, con l'apertura delle celebrazioni per l'anniversario dei lavori compiuti a Piacenza dal maestro di Cento, potrà esserci chiunque, fino al 4 giugno. A patto che si prenoti sul sito guercinopiacenza.com (ci sono già tremila richieste, da Piacenza-centro a Pasadena, California), che abbia più di sei anni, goda di perfette capacità motorie, non soffra di vertigini, né di claustrofobia, né di cuore. A non tutti è concessa l'ascesa al Paradiso.
Eccolo, il Paradiso. A portata d'occhio, di dettagli e di telefonino: le braccia nude e muscolose di Zaccaria, i panneggi verde smeraldo di Michea, la barba soffice di Ezechiele, il piccolo Gesù accigliato della Fuga in Egitto, il catalogo delle bellezze - more, bionde, rosse, tutte sensuali - delle Sibille... E i putti, i festoni, i fregi. Nessuno, a parte i restauratori e qualche storico, li ha visti così da vicino, così altissimi, in quattro secoli di liturgie, cerimonie, sermoni e City tour passati fra le navate della cattedrale. Sante Messe e No Flash.
Da qui, i selfie vengono benissimo. Il Barocco visto dall'iPhone.
Centosessanta gradini in tutto. Tanto è lungo il percorso di salita alla cupola, fra le strettissime scale medievali scavate dentro lo spessore delle mura della cattedrale, originariamente pensate per sole ragioni di manutenzione, e i nuovi camminamenti provvisori in legno ricavati nei sottotetti: cinque i mesi di lavoro per costruire le passerelle, e non è escluso che la struttura diventi definitiva. Si parte dalla navata laterale sinistra, i gradini in pietra sono più corti della lunghezza media di un piede, si arriva alla base della torre campanaria, poi si prosegue nel sottotetto della navata nord - attenti alla testa, il cunicolo è bassissimo - poi si attraversa tutto il matroneo, ecco il primo affaccio all'interno del Duomo, siamo a quattordici metri di altezza, si supera un altro tratto di scala a chiocciola per raggiungere il sottotetto della navata centrale dove l'allestimento prevede una struttura in legno che sormonta le volte con un monitor touch screen per la navigazione virtuale della cupola, e dopo puoi scegliere a cosa dare la precedenza. A destra si apre un lungo corridoio che sopra tutta la navata centrale conduce alla grande croce d'arenaria che si apre sulla facciata della cattedrale: le pene della città da qui si vedono sagomate dai due bracci della sofferenza, e laggiù, alla fine della 'strà dritta, in fondo in fondo, spunta la via Emilia. A sinistra invece si sguscia nel tamburo della cupola. Siamo affacciati al vuoto, in una ristrettissima galleria interna, a ventisette metri d'altezza. Sotto, l'imponente mole della chiesa, sopra, che svetta fino a quaranta metri, il capolavoro del Guercino. I visitatori, accompagnati, arrivano a gruppi di venti persone ogni quarto d'ora. Silenzio. Buio. Inizia lo show.
Switch on. Gli affreschi della cupola si animano poco alla volta davanti agli occhi dello spettatore, grazie al controllo delle luci, con l'accensione in sequenza delle vele, prima i profeti, poi le quattro lunette sacre, le Sibille profane, e il fregio. Irripetibile. Switch off. Si scende.
Scesi dalla cupola, continuano le celebrazioni del pittore di Cento - paesotto all'epoca appartenente al Ducato di Ferrara - che iniziò a dipingere guardando a Ludovico Carracci, il quale lo definì «gran disegnatore e felicissimo coloritore: è mostro di natura e miracolo da far stupire chi vede le sue opere» (sono gli anni degli esordi), che quindi passò a Roma quando il suo protettore Alessandro Ludovisi nel 1621 divenne Papa col nome di Gregorio XV (sono gli anni della fama) e che infine tornò a Nord, per trasferirsi a Bologna, dove morirà nel 1666 (sono gli anni della gloria).
E gli «anni degli esordi», gli «anni della fama» e gli «anni della gloria» sono le tre sezioni in cui è suddivisa la piccola splendida mostra Guercino tra sacro e profano - «il numero di opere è ridottissimo, appena una ventina, ma selezionatissime», spiegano i curatori, Antonella Gigli e Daniele Benati - che apre oggi all'interno della Cappella ducale di Palazzo Farnese, a ottocento metri di stradine e viette dalla piazza della Cattedrale. Su il sipario. Da Palazzo Barberini di Roma ecco Et in Arcadia ego (1618), col moscone, il bruco e il topolino che rosicchia il teschio, perché alla fine della vita c'è la morte, ma nella morte c'è la vita. Ecco il San Matteo e l'angelo (1622), dai Musei capitolini di Roma, che si porta dietro tutte le possibili discussioni sul «caravaggismo» del Guercino. Ecco il possente Cristo risorto che appare alla Madre (1628-30) dalla Pinacoteca di Cento. Ecco La morte di Cleopatra (1648) da Palazzo Rosso di Genova. Ecco il sontuoso Susanna e i vecchioni (1649-50) che arriva dalla Pilotta di Parma... Ma ormai siamo al culmine della fama.
Quando il Guercino, secondo il Libro dei conti tenuto dal fedele fratello Paolo Antonio, guadagnava fino a quattromila ducatoni all'anno, cifra che lo rendeva un benestante, anzi quasi un ricco. Il lavoro degli affreschi della Cupola del Duomo di Piacenza, per la cronaca, gli valse ben 1900 ducatoni. E alloggio gratuito.I capolavori di un "mostro di natura" - guarda le foto
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.