Il vigoroso tono tenorile del gigantesco Francesco Di Giacomo si è spento nel 2014, ma Vittorio Nocenzi ha perpetuato con la consueta passione la storia e la gloria del Banco del Mutuo Soccorso (più familiarmente Banco) che festeggia il mezzo secolo di progressive rock con un album in uscita a settembre e con una tournée che vedrà il primo appuntamento a Bellinzona il 20 maggio.
Cosa significano 50 anni di Banco?
«Un infinito viaggio musicale che ha stupito prima di tutto noi per la varietà degli incontri e delle situazioni. Però non solo un viaggio musicale ma un modo di vivere, uno stile, un'etica, un modo di vedere le cose».
Come è nata questa avventura?
«A Roma, io scrivevo canzoni per Gabriella Ferri - grande interprete popolare - insieme a suo padre il quale, sapendo che io scrivevo canzoni mie mi chiese di ascoltarle e poi le fece ascoltare alla Rca, che nei primi anni Settanta era il massimo insieme alla Ricordi di Milano. Così cominciò tutto».
Ovvero?
«La Rca mi chiese se avevo una band che io naturalmente non avevo ma mi presentai qualche giorno dopo con dei giovani musicisti e così incidemmo un disco che uscì vent'anni dopo col titolo Donna Plautilla».
Poi?
«Dall'Inghilterra arrivava il progressive, una suadente miscela di rock, pop, jazz, classica che mi emozionò subito perché io mi abbeveravo ai più vari generi musicali. Incontrai Francesco e mettemmo insieme il primo nucleo del Banco. Eravamo molto ispirati e Darwin e l'album senza titolo con in copertina l'ormai famoso salvadanaio ci portarono subito il successo».
Insieme alla Pfm siete stati le punte di diamante del movimento progressive in Italia.
«Beh, abbiamo avuto grande popolarità in Italia e all'estero. Siamo stati protagonisti - con la musica - di una rivoluzione vitale, nel senso di gioia della vita, che è stata la molla che ha sempre mosso la nostra musica».
Come vi trovate nel panorama musicale odierno?
«Da cinquant'anni abbiamo un ruolo e non intendiamo cambiare la nostra etica né la nostra estetica. Certo oggi la musica è cambiata completamente, c'è spazio per tutti. Un tempo abbiamo fatto parte di una avanguardia, adesso siamo parte di un genere ancora ben radicato e che ha fatto storia».
Il vostro forte sono gli spettacoli dal vivo.
«Sì, perché c'è tanta improvvisazione. I nostri testi sono impegnati ma la musica, quella è stata apprezzata in tutto il mondo».
Per esempio?
«Ricordo vividamente i concerti americani, un'esperienza indimenticabile. E poi quelli a Cuba. Fummo i primi a sbarcare a Cuba per suonare a Varadero. Arrivammo a l'Havana e prendemmo un aereo tutto scassato, con portelloni sgangherati che dovemmo aprire da soli. Nel viaggio da l'Havana a Varadero vedemmo la più bella alba della nostra vita. Fu un concerto indimenticabile e il giorno dopo trovammo uno striscione con scritto Banco te quiero. Cuba era un posto fantastico; pensate che a Varadero c'erano, l'uno vicino all'altro, la chiesa cattolica, il monumento a Castro e il tempio massone».
Momenti difficili?
«Mai tra di noi, ma gli anni Settanta furono molto caldi politicamente. Il pubblico non voleva pagare per andare ai concerti. Successe parecchie volte ma io non ero d'accordo. Chi lavora deve essere pagato. Un giorno dissi ai contestatori: Hey per ascoltare questa musica ci vogliono 70 quintali di strumenti che vanno spostati da un luogo all'altro e chi fa questo lavoro deve essere pagato come tutti!».
Il gruppo inglese con cui avete avuto più feeling?
«Emerson, Lake & Palmer. L'ultimo dell'anno una volta che abbiamo suonato a Londra vennero Emerson e Lake a trovarci con delle bottiglie di champagne e facemmo bisboccia tutta notte anche se il giorno dopo avevamo un concerto a Milano. Eravamo sempre in corsa, non a caso abbiamo tenuto 1550 concerti».
E state continuando.
«Sì, l'entusiasmo non manca. Il 20 maggio saremo a Bellinzona, il 29 all'Auditorium Parco della Musica di Roma e il 12 giugno non mancheremo a Verona il Prog Festival, un evento. In concerto suoneremo tutto il primo album per intero».
State incidendo un
nuovo album però.«Sarà pronto a settembre. Per ora svelo solo che sarà un concept album, una specie di suite dedicata all'Orlando furioso. Non a caso il disco del salvadanaio comincia con una citazione dell'opera».
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