Noi soldati e arditi d'Italia vogliamo città pericolose

La delusione della Grande guerra. E la voglia futurista di rivoluzionare la vita di tutti

Noi soldati e arditi d'Italia vogliamo città pericolose

Oltre due milioni di giovani italiani, da quattordici mesi dimoranti di là della frontiera, in appartamenti scavati nella più rude epidermide terrestre, si sono ormai famigliarizzati a una nuova atmosfera di imprevisto e di emozione, formata da scoppi da ingorghi da lanci da frastagliamenti traboccanti di fantasia; hanno guardato per un anno la natura corretta da gigantesche iniezioni di acciaio, una natura-morta su cui furono gettate foreste di fili telegrafici e telefonici ronzanti e vibranti, tempeste di esplosioni vulcaniche che le regalarono una voce profonda da contrabbasso appassionato, boschi cedui di reticolato che la gelatina lacera e sbalza per aria in pose di stupore irritato, popoli di motori arroventati che latrano tutti insieme; hanno visto il terreno, a ogni passo, sprofondare per lo scoppio di un obice o di una granata; le case aprirsi fino a quattro piani, sotto la spinta di una irrevocabile bomba, e schizzare all'intorno come sifoni di seltz troppo pieni; i graticci e i sacchetti delle trincee appoggiarsi tranquillamente a un'ossatura di casa diroccata, su cui si legge ancora «CAFFÈ BIBITE LIQUORI»; interi settori saltare all'aria con piroette acrobatiche; la sagoma del terreno plasmarsi e riplasmarsi cento volte, mare insofferente di una faccia stereotipa; le località assumere gli aspetti più varii: i villaggi divenire fortezze, le fortezze precipizii, le siepi trincee, i boschi reticolati, le alture batterie...

Questi giovani italiani, al loro ritorno in patria, non potranno più tollerare lo spettacolo delle Città fossilizzate, dove tutto è prevedibile, esatto, combaciante, mediocre e ragionevole. La fantasia l'improvvisazione e la pazzia dovranno circolare più abbondantemente nelle nostre strade e nelle nostre case troppo povere di cozzi e di accozzi. La guerra odierna ha svalutato notevolmente la vita umana, e ha creato l'abitudine al sangue, al massacro, al disastro personale e collettivo: i nostri nervi si sono saldamente trincerati contro la debolezza che nel passato ci procurava un deliquio ogni volta che si entrava in una sala anatomica; e la cronaca delle gazzette, che registra con comica compunzione i cinque o sei accidenti giornalieri causati dal traffico più o meno intenso, ci fa ridere sgangheratamente. La macchina lucida fatale e serena che stritola un corpo umano nei suoi ingranaggi, ci sembra oggi un giochetto da ragazzi.

***

Si desidera veder correre i trams elettrici a zig-zag su rotaie sfuggenti, evitando destramente le automobili che si precipitino per mezzo di scalinate spiraliche giù dai sesti piani. Si desidera passeggiare su ampî marciapiedi che d'improvviso si sfascino sotto i nostri passi aprendo qualche attirante bocca-di-lupo, mentre getti di luce bizzarra scaturiscano da queste aperture abbagliandoci con prepotenza.

Cadere, scivolare, chiudere gli occhi, rialzarsi, poi rotolare ancora, vedersi passare sul capo la strada coi suoi gesti e bagliori omicidi...

Bisognerà rinunziare al desiderio di sentirsi sicuri, organizzati, contro il pericolo: bisognerà abolire il terrore della morte, gettando ondate di terrore dappertutto; bisognerà cercare la propria incolumità attraverso selve di pericolo, con sforzi continui che svilupperanno enormemente l'energia nervosa e cerebrale, e renderanno più scaltri ed audaci gli abitanti delle Città. Raschiare dalla tavola del mondo il «pacifico cittadino» il «prudente passeggero» l'«inoffensivo buon diavolo», schifose concezioni del pacifismo e vigliacchismo di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

Noi giovani, noi artisti, noi futuristi, noi soldati italiani, vogliamo che le nostre città siano dei vulcani in convulsione, le vogliamo pericolose, fosforescenti, febbricitanti, infernalmente rumoristiche e maliziose, smontabili e disgregabili; le vogliamo veder vivere di vita magica e camaleontica, sprofondarsi e rinascere, cambiar forma e riflessi nelle diverse ore del giorno e della notte, contenere tutti gli istinti i capricci le fantasticherie e le ferocie di una immensa macchina

pensante e robusta, sirena di carne di pietra di legno e d'acciaio deliziosamente promettente e perfidamente ingannevole, formidabile impasto cosciente di umanità di fuoco di mare di belva e di nitroglicerina.

Luglio 1916

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