Le opere e i musei al tempo della Rete Come ti metto in mostra l'arte (con un selfie)

L'influencer Clelia Patella si fotografa con quadri e installazioni. Rileggendole

Andrea Dusio

Anche un integrato del sistema dell'arte com'è Francesco Bonami ha traslocato la propria attività critica più dissacrante su Instagram, girando video e scattandosi selfie che pubblica sul profilo «The Bonamist», e si abbandona alla riflessione teorica sull'influenza delle nuove tecnologie nel suo libello Post. L'opera d'arte all'epoca della sua riproducibilità sociale (Feltrinelli). Chissà che effetto avrà prodotto nello studiatissimo critico fiorentino essere «sorpassato» dall'outsider Clelia Patella, che anziché limitarsi a giocare con il titolo del seminale scritto di Benjamin ne fa la parodia applicata all'epoca del digitale in Selfie ad arte. L'arte al tempo dei social (Ultra).

Se è vero infatti che per Bonami «l'arte è diventata populista», dietro le spinte del mercato, che ha ridisegnato le regole del contemporaneo, Clelia Patella pone se stessa al centro di un'operazione inedita, fotografandosi assieme a quadri, sculture, installazioni, in un gesto che potrebbe sembrare di puro narcisismo e invece aspira appunto a emanciparci dalle infinite riproduzioni tecniche. «Io appaio alle opere d'arte, e in qualche modo qualcosa di magico torna ad avvenire, perché quella foto sarà fatalmente diversa. Perché ci sono io che la invero. Anche se la dissacro, se faccio il clown, se mi prendo in giro. Restituisco all'arte la giusta distanza, quella che le è propria, la qualità di stare dove sta e di non essere introdotta furtivamente nella casa di chicchessia con una foto sgranata». Il «selfie ad arte» è allora un nuovo grado zero nelle vicende della riproduzione tecnica delle opere: un'interferenza e un'intrusione che la «fotografa-autrice» opera usando uno strumento di comunicazione che appartiene alla sfera dell'affettività e alla sovraesposizione di sé per parlare del nostro rapporto con la produzione artistica. Nel primo capitolo di questo testo che usa citazioni di Barthes, Berger e la Sontag, ma che si legge come una sorta di manuale dell'art influencer, troviamo l'autrice a colloquio con una scultura ciclopica del messicano Javier Marin, nelle sale del Mudec di Milano. «Mi inginocchio, ruoto lentamente il capo, faccio finta di essere la sua insegnante di yoga. Come stai Cabeza, vuoi che ti insegni ad allungare la colonna? Finalmente sembra sciogliersi un po'. Chiudo gli occhi. Gli giro le spalle. E scatto».

Al gioco consapevole, inquadrato nell'evoluzione degli strumenti della critica d'arte, di Bonami, Clelia Patella contrappone l'idea

di annullare la distanza tra noi e le opere, togliendo ogni mediazioni, «a difesa della nostra necessità di scoprire e imparare, sottraendoci all'assuefazione a noi stessi, a questa droga letale che è la nostra immagine».

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